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Pubblicato il 26 May 2018 alle 21:49
Dopo avere trattato delle caratteristiche e dell’archeologia del sito di San Giorgio, in comune di Palau (SS) (vedi articolo), ci soffermeremo ad analizzare più dettagliatamente il complesso fortificato che sorge in vetta al basso colle, dettoMonte Casteddu. Per la prima disamina dei ruderi della “fortezza di San Giorgio”, sono utili la planimetria schematica e la scheda realizzate circa un trentennio fa da un’équipe del progetto SITAG, che costituiscono l’unica documentazione edita sul complesso, per quanto la datazione fattane al periodo “postmedievale” è da ritenersi superata.
Spiccano i resti di un donjon o mastio, termine con cui si indica tecnicamente il torrione principale, che all’interno dei castelli risulta in genere isolato e dislocato nel punto più alto ed inaccessibile del recinto difensivo. Impostato direttamente sulla sommità rocciosa, esso presenta una planimetria irregolarmente trapezoidale (mt 7,35 x 3,7 x 7,25 x 4,10), con alzati dello spessore murario di m 0,7. L’elevato massimo residuo si osserva nel lato breve nord (mt 1,6), ma l’altezza originaria poteva svilupparsi per una decina di metri. Nel lato lungo occidentale, presso l’angolo sud-ovest dell’ambiente, si apre l’ingresso largo m 1,10, con intatta la soglia granitica. Il lato corto sud offre un interessante espediente architettonico, riscontrabile in altri castelli medievali, e costituito da uno scivolo litico ricavato nello spessore murario: certamente lo scarico a cielo aperto di un lavabo o una latrina.
[caption id="attachment_100057" align="aligncenter" width="1280"] L'edificio rettangolare in una nostra foto scattata nell'anno 2008[/caption]L’accorgimento di carattere sanitario trova replica nel lato settentrionale del secondo edificio del complesso, distante quindici metri a nord del mastio e ad una quota inferiore di circa due metri. Consiste in un ambiente rettangolare alquanto lungo e stretto (m 19 x 4,5 circa), orientato in senso est-ovest e con ingresso individuabile nel lato meridionale (non indicato nella pianta-SITAG). Tra la base rocciosa del mastio e tale edificio correva un muro rettilineo, che sbarrava il versante orientale della vetta. Un’ulteriore struttura muraria curvilinea, forse di contenimento, si dipartiva invece dall’angolo nord-orientale dell’edificio rettangolare, ammorsandosi allo spuntone roccioso dopo qualche metro.
Nel suo insieme il complesso fortificato appare omogeneamente costruito con la tecnica “a sacco”, impiegando conci squadrati di granito locale nei paramenti murari e legante di malta di buona qualità. Nel lato meridionale dell’ambiente rettangolare si ravvisano tuttavia alcune rimarcabili differenze tecnico-costruttive: infatti per una lunghezza parziale di circa 14 metri sui 19 totali (esattamente dall’angolo sud-ovest fino allo stipite della soglia d’ingresso) si distingue un paramento più curato, prossimo all’opera quadrata, con blocchi di maggiori dimensioni nella lunghezza e puntuale riempimento di malta negli interstizi. Invece nella restante parte dell’edificio, come nel mastio, i conci appaiono generalmente di dimensioni più piccole e di fattura più irregolare, con squadratura più sommaria e ricorsi di altezza variabile, calcolati dalla metà ad un terzo della lunghezza.
[caption id="attachment_100058" align="aligncenter" width="682"] Castello di San Giorgio, Palau (SS). Un tratto di paramento interno dell'edificio rettangolare (foto dell'autore, 2008)[/caption]Anche se solo genericamente, la fortificazione può datarsi alla piena età giudicale, trovando analogie planimetriche e struttive con il Castel Pedreso di Olbia ed il castello di Balaiana di Luogosanto, per fermarsi a soli due esempi del Giudicato di Gallura. Ce lo dicono la scelta topografica del sito, la tipologia ed organizzazione spaziale degli ambienti, le tecniche di costruzione con ampio uso di conci squadrati e legante di malta di calce, ed infine gli indicatori cronologici fittili di superficie, quale la maiolica arcaica e le ceramiche acrome depurate, seppure reperibile in scarsi frammenti.
All’ipotesi avanzata nella prima parte di questo contributo, circa cioè l’esistenza di un probabile insediamento tardoantico ed altomedievale, con annessa chiesa intitolata a San Giorgio –protettore invisibile di eserciti, castelli, torri, cinte urbiche ecc. insieme all’arcangelo Michele - ne conseguirebbe quella di un utilizzo del Monte Casteddu come punto d’avvistamento e controllo anche in epoca bizantina.
Per sviluppare seriamente questa ipotesi, anche relativa ad un eventuale preesistenza di un sito fortificato bizantino poi ripreso e riadattato nel pieno medioevo giudicale, si richiederebbe un allargamento ed un approfondimento puntuale e complessivo dell’indagine, dal rilievo di dettaglio fino allo scavo archeologico, a cui rimandiamo per forza di cose.
Dacché però ci troviamo davanti ad un insediamento fortificato, va da sé che vengano ad essere considerate in questa sede alcune istanze di controllo del sito, prima fra tutte apparendo evidente quella della via naturale di penetrazione dal mare verso la Gallura interna, costituita dalla vallata del fiume Liscia.
Non altrettanto evidente, ma forse ancora più condizionante –visti i collegamenti che essa garantiva- era la strada romana definita a Portu Tibulas Caralis nell’Itinerario Antoniniano, il tratto interessato essendo quello interposto tra le stationes di Longones (presso S. Teresa Gallura) ed Olbia. Secondo l’ipotesi più accreditata, riportata da Attilio Mastino, il tracciato doveva obbligatoriamente lambire Porto Pozzo, seguendo all’incirca l’andamento della S.S. 133 bis. Stando così le cose, il Monte Casteddu doveva controllare il punto di più probabile attraversamento del Liscia, da vedersi non troppo distante dall’attuale ponte della S. S. 133 bis, che –com’è noto- collega Santa Teresa e Palau.
Capita spesso di riscontrare come i tracciati obbligati dalla geomorfologia furono percorsi fin dalle transumanze neolitiche, trasformandosi senza soluzione di continuità di utilizzo in strade romane, quindi medievali e poi moderne.
Nella prospettiva di suggerire alcune linee di approfondimento della ricerca, può risultare utile la notizia del noto studioso locale Michele Ruzittu, già ispettore onorario della Soprintendenza Archeologica. Egli osservò nel 1945 un tratto stradale selciato, lungo venti metri, allo sbocco di Vaddi Patrona (ora Valle Patrona in I.G.M.), presso lo stazzo di La Jesgiola, toponimo riportato in forma storpiata dall’attuale cartografia ufficiale (“Stazzo La Sciola”). Se la notizia è attendibile (e così ci sembra ad un primo esame del calcolo delle distanze), varcato il fiume Liscia il tracciato romano, presumibilmente ricalcato fino al medioevo ed oltre, si sarebbe diretto decisamente a sud, abbandonando la fascia litoranea ed addentrandosi nelle regioni di Monti Nieddu e Lu Mazzolu, per poi riprendere approssimativamente il tracciato dell’attuale “Orientale Sarda” (S. S. 125) fino ad Olbia.
Oltre al passaggio di una strada così importante per la storia antica del nostro territorio, è lecito pensare che anche il fiume Liscia fosse in antico una via di comunicazione, nel senso della navigabilità del tratto finale, forse anche oltre il riferimento geografico convenzionale datoci dal castello di San Giorgio. Possiamo purtroppo documentare il rapido mutamento della foce deltizia solo a partire dalla metà dell’Ottocento, anzitutto per il progressivo insabbiamento indirettamente causato dagli indiscriminati disboscamenti perpetrati a partire dal XVIII secolo, poi dalle bonifiche di Barrabisa del XX secolo. Da ultimo, a causa della costruzione dell’invaso artificiale del Liscia, nei primi anni Sessanta dello scorso secolo, cui conseguì la drastica riduzione della portata del corso d’acqua.
Alla probabile, parziale risalita del corso d’acqua con imbarcazioni (anche varie tradizioni locali insistono al riguardo), si unisce il fatto che il Porto Liscia è una delle poche insenature sicure della Sardegna settentrionale, insieme a Porto Pozzo e Porto Puddu, poste rispettivamente ad Ovest e ad Est.
Per tutto quanto considerato, anche la non meglio precisata “struttura antica”, segnalata presso la spiaggia del Liscia, conduce ad immaginare un piccolo approdo attrezzato, forse proprio nel medioevo, giustificando ulteriormente la particolare dislocazione della fortezza di San Giorgio.
©Marco Agostino Amucano
26 maggio 2018
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