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Pubblicato il 09 May 2021 alle 06:00
Luras. Tra le tante figure leggendarie che popolano il folklore sardo, l’accabbadora è tra quelle più affascinanti: la sua storia, sempre in bilico tra mito e verità, non smette di ammaliare studiosi, antropologi ed appassionati di tutto il mondo. Sa femina agabbadora colei che finisce", deriva dal sardo s'acabbu, "la fine" o dallo spagnolo acabar, "terminare") denota la figura storicamente non comprovata di una donna che si incaricava di portare la morte a persone di qualunque età, nel caso in cui queste fossero in condizioni di malattia tali da portare i familiari o la stessa vittima a richiederla: di fatto, quindi, questa figura -che, si dice, coincideva con quella della levatrice- era chiamata a praticare un’eutanasia, probabilmente accompagnata da riti arcaici di passaggio, di cui si è persa quasi ogni memoria. Esiste, a Luras, un luogo dal fascino oscuro ma irresistibile, meta irrinunciabile per chiunque deisderi scoprire qualcosa di più sulle origini e sulla storia dell’accabbadora: è il Museo Etnografico Galluras, un museo privato, proprietà dello studioso Pier Giacomo Pala, che da più di venticinque anni attrae curiosi da tutto il mondo, e grazie al quale la stessa Luras è riuscita a diventare un centro culturale di grande rilevanza internazionale. La passione per l’etnografia nasce, in Pala, da piccolo: già da allora, infatti, gli piace raccogliere reperti storici da analizzare, per pura curiosità personale. “Il museo nasce, inconsciamente, quando avevo dodici anni e raccoglievo materiale antico, ma comincia a concretizzarsi solo nel 1981, momento in cui riesco ad acquistare lo stabile che lo ospita, dedicandogli un lungo restauro di tipo conservativo. Poi, nel 1996, finalmente l’apertura; il mio intento era non solo esprimere la grande passione per antropologia ed etnografia, ma anche rendere Luras, all’epoca ben poco valorizzata dal punto di vista turistico, un polo culturale di livello. Punta di diamante dell’offerta museale è l’esposizione di un vero martello utilizzato dall’accabbadora, che era nascosto all’interno di un muretto a secco” racconta il proprietario del museo. Nel giro di pochi anni, la fama del Museo Galluras esce dai confini regionali, poi da quelli nazionali ed approda felicemente all’estero: ogni anno, sono migliaia i turisti che scelgono Luras come meta proprio in virtù della presenza del museo, la cui visita guidata rappresenta una vera e propria immersione nella storia e nel folklore isolano; ad oggi, questa piccola realtà è una pietra miliare del patrimonio culturale sardo. Purtroppo però, la pandemia ha costretto anche il Galluras a chiudere i battenti: dopo più di un anno di fermo obbligato, la struttura comincia a soffrire; non godendo di alcun finanziamento pubblico, sono infatti unicamente le offerte dei visitatori a consentire il sostentamento di questo gioiello gallurese. “Le manutenzioni da fare sono tante e costantemente da rinnovare; dal trattamento anti tarlo che va ripetuto due volte l’anno al restauro dei reperti antichi, alle semplici utenze elettriche o telefoniche, che siamo sempre riusciti a pagare facendo affidamento sugli introiti provenienti dalle visite. Adesso invece, essendo il museo chiuso al pubblico, abbiamo grosse difficoltà e rischiamo di chiudere definitivamente, con danno non solo personale, ma anche della collettività; il fermento scatenato dalla curiosità verso il museo si trasforma in indotto sulle altre attività commerciali del paese” spiega Pier Giacomo Pala. L’appello lanciato tramite i canali social del proprietario del Museo Etnografico Galluras è rivolto non solo ai privati, i quali stanno rispondendo con grande affetto e solerzia – come dimostrano le numerosissime donazioni già raccolte- ma anche alle istituzioni, perché possano accorgersi del valore inestimabile di questo piccolo ma interessantissimo pezzo di storia e cultura gallurese, valorizzandolo e sostenendolo anche in termini economici, tutelandone la durata e il proseguimento del successo.
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