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Gurguray stava nell'isola di Molara?

Gurguray stava nell'isola di Molara?
Gurguray stava nell'isola di Molara?
Marco Agostino Amucano

Pubblicato il 08 July 2018 alle 19:07

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Olbia, 8 luglio 2018- Un nome esotico: Gurguray. Sfruguliando su una mappa satellitare online, così, tanto per curiosare, sotto la voce mi è apparsa una remota zona dell’Afghanistan orientale. È una pura coincidenza, ragionevolmente penso, vista l’enorme distanza che intercorre tra la Sardegna e quella torrida e brulla località semidesertica al confine con il Pakistan. Gurgurai, senza la ypsilon finale, pare inoltre ricordarci il passato remoto di una lingua tanto remota da essere scomparsa del tutto. Suggestioni del genere (suggestioni, ripeto, sono solo mere suggestioni) capitano tuttavia spesso con non pochi nomi dei minuscoli quanto numerosi centri demici che costellavano le campagne della Sardegna nel pieno medioevo giudicale. Oltre a Gurguray, non si può negare che ad un primo acchito nomi di villaggi scomparsi quali Assum, Canahim, Gultudofe, Baredal, Siffilionis ecc., solo per restare entro i confini del Giudicato di Gallura, facciano pensare a lingue e luoghi fiabeschi che se non sono proprio l’Afghanistan ed il Pakistan, ci portano semmai alle “Mille e una notte”. Ma non divaghiamo e restiamo coi piedi per terra (sarda) e, soprattutto, in tema.

[caption id="attachment_102667" align="aligncenter" width="667"] Isola di Molara (da Google Earth)[/caption]

Scopo di questo articolo estivo per Olbiachefu è infatti informare definitivamente il più largo pubblico circa il marchiano errore di identificazione - tramandato tenacemente da oltre un secolo e mezzo - che attribuirebbe i ruderi circostanti la chiesa di San Ponziano, presso Cala di Chiesa, nell’amena isola di Molara (Olbia), al villaggio medioevale di Gurguray. Una ricerca sul web dimostra come la falsa attribuzione sia comunemente diffusa – e non ci pare un caso - soprattutto in non pochi portali web di promozione turistica, che per cristiana carità tralasciamo di riportare. Procediamo però per ordine.

[caption id="attachment_102665" align="alignleft" width="268"] Una pagina del Compartiment de Sardenya[/caption]

La prima e più antica notizia su Gurguray si trova nel Compartiment de Sardenya, notissima fonte documentaria oggi conservata presso l’Archivio della Corona d’Aragona di Barcellona. Redatto nella loro lingua dai catalano-aragonesi nel 1358, oltre un ventennio dopo la conquista del regno di Sardegna, il Compartiment è un vero e proprio censimento fiscale che costituisce per noi la grande fonte di informazione sulla maglia organizzativa ed amministrativa del nuovo regno, e che prova l’accorpamento dei territori del neo costituito regno di Sardegna alla Corona d’Aragona. Nelle pagine riferite al territorio del decaduto Giudicato di Gallura, il Compartiment riporta dati riferibili agli anni tra la fine della seconda e gli inizi della terza decade del secolo XIV (1). Facendo menzione di Gurguray, il Compartiment, edito nel XIX secolo da P. Bofarull (2), precisa che la villa era collocata “en la iscla de Posada”. Il termine “iscla” e le sue varianti "iscia", "ischia" sonoabbondantemente attestati nei condaghi, e in generale nelle fonti medioevali sarde, derivando com’è evidente dal latino ins(u)la, isola, e si continuano negli attuali "ìscia"e "iscra".(3)

Nel XVI secolo l’umanista sardo Gian Francesco Fara, nel compilare l’elenco delle isole adiacenti alla Sardegna nella ben nota Chorographia, colloca la Posatae insula, l’isola di Posada, nella quale stava dunque “l’oppidum Gurguràis”, “inter Siniscolam et caput Cominum”, tra Siniscola e Capo Comino (4). L’unica isola reperibile in questo tratto è l’isola Ruia, isola Rossa, antistante al succitato capo. Questa non è altro che un grande scoglio dove nidificano gabbiani e cormorani e in cui mancano ovviamente tracce di abitato. Ma anche a volerci mettere per forza, o per assurdo, un insediamento umano, ci si chiede dove e come potesse starci quel centinaio di persone chesi può calcolare per Gurguray,stando ai dati che Dionigi Panedda ricava dalla somma annua di dodici lire versata al fisco negli ultimi anni del dominio di Pisa in terra gallurese(5).

[caption id="attachment_102666" align="aligncenter" width="864"] L'Isola Ruia, antistante a Capo Comino[/caption]

Doveva essere ben consapevole di questa ipotesi dell’irrealtà Vittorio Angius, che tornò sulla questione circa due secoli e mezzo dopo, identificando per esclusione l’iscla de Posada con Molara, (in sardo appellata Salzài): “…l’isola Salzài, dove era Gurgurai, antica popolazione, della quale è memoria nella carta del 1358” (6). Molara e non Tavolara naturalmente, la prima essendo l’unica in grado - deduciamo - di offrire le condizioni per l’insediamento di un centro demico, per la presenza di fonti, terreni coltivabili e pascolativi, approdi ecc. L’ipotesi identificativa dell’Angius fece testo ed è stata passivamente seguita dai successivi, anche autorevoli studiosi di antichità sarde, quali il canonico Giovanni Spano, Alberto Della Marmora e quasi tutti coloro che hanno scritto di Molara o di Gurguray (fra questi lo stesso giovane Dionigi Panedda in Olbia attraverso i secoli, Cagliari 1958, e John Day) (7).

Dionigi Panedda, sempre lui, confutò però se stesso vent’anni dopo, nell’ancora insuperata opera “Il Giudicato di Gallura” edita nel 1978 per i tipi dell’editore Chiarella: un’opera straordinaria che ancora soggiace alla maledizione quarantennale di non vederne l’agognata ristampa anastatica. Il problema, rilevava il Panedda, è anzitutto che tra Posada e Molara vi sono ben 25 chilometri in linea d’aria, e non si capisce dunque per quale motivo la si sarebbe dovuta chiamare “Isola di Posada”. Inoltre, se si vuole pensare per forza che questo appellativo possa risalire alla precedente epoca giudicale e pisana, ciò non avrebbe comunque alcun senso, ricadendo Molara entro il distretto amministrativo della curatoria di Fundi de Monte, di cui –come tutti sappiamo- Terra Nova, oggi Olbia, era il riferimento, essendo oltretutto anche capoluogo del regno giudicale di Gallura.

Oltre a queste evidenze storiche e geografiche, lo studioso segnala anche la pluralità di significati del termine sardo medievale iscra o iscla, tutti strettamente collegati fra loro. Dal significato originario, di una terra dappertutto circondata dall’acqua discende, come meglio ci illustra Panedda, , “…anzitutto quello di isola di verde vegetazione tra due bracci, di un fiume, oppure intorno a una sorgente, in località arida e brulla. Per estensione si intende anche il terreno coltivabile, posto lungo le sponde di un fiume o presso una vena d’acqua; e infine, tutta la regione, valliva e non, resa fertile e coltivabile dal fiume che l’attraversa. Una tale regione mutua il suo nome dal suo maggiore centro abitato, come nel caso che qui interessa. Col coronimo Iscra ‘e Posada si indica quella parte della valle torpeino-posadina, attraversata dal Rio Mannu e compresa, all’incirca, tra la diga e il mare”(8).

Le ricerche effettuate dallo studioso olbiese portarono a concentrare dunque in quest’area la ricerca sul campo di Gurguray. Proprio nell’Iscra posadina, nell’odierno agro di Torpé, lungo le pendici della Costa ‘e Monte Ruiu, a poche centinaia di metri dalla località Santu Jagu in cui c’è una chiesa allo stato di rudere dedicata appunto a S. Giacomo, si trovano i ruderi della chiesa di S. Giovanni ‘e Gurai, circondata -al tempo in cui Panedda scriveva – dai resti di un antico abitato. L’appellativo “Gurài” dato alla chiesa rudere di San Giovanni sembra proprio trarre la sua origine dal nome Gurguray, per il diffusofenomeno fonetico detto aferesi, che consiste nella caduta di uno o più foni all’inizio di parola: dunque (Gur)gurài, come accade ad esempio per "questa sera" che diventa "stasera", "oscuro" che diventa "scuro" e così via.

Per quanto il Panedda resti sempre molto prudente nelle sue argomentazioni, c'è ben poco da obiettare sulla quantità e la qualità degli indizi e delle argomentazioni da lui portate. Gurguraydoveva stare proprio là, fino a prova contraria, nell’odierno agro di Torpé, confinante con quello di Posada, il maggiore centro dell'area in epoca medioevale, e col quale condivideva e condivide la Iscra di Posada segnata dal Riu Mannu.

[caption id="attachment_102672" align="aligncenter" width="1539"] Ruderi prossimi alla chiesa di San Ponziano in Molara[/caption]

Si chiederà a questo punto a quale insediamento appartengano quei vistosi ruderi adiacenti alla chiesa di San Ponziano, nell’isola di Molara. Non sono certo i ruderi di Gurguray: per quanto l’isola, come considerato, consenta un insediamento umano, siamo certi che cento persone avrebbero avuto indubbie difficoltà di sopravvivere con le risorse che la piccola Molara avrebbe offerto e in ogni caso le loro abitazioni avrebbero lasciato ruderi ben più estesi e consistenti. La risposta definitiva alla domanda ci è data per buona sorte dal Portolano Rizo, il primo portolano a stampa, pubblicato a Venezia nel 1490, che ci informa laconicamente che sull’isola di Molara –unico a farlo - stava “uno monasterio de monache”, senza precisarne purtroppo l’ordine religioso di appartenenza (9). Ultima osservazione: Gurguray in quel periodo era un centro abitato ormai estinto, visto che nel 1431 il suo nome non compare tra quelli dei centri che costituiscono la Baronia posadina, sebbene il suo territorio facesse parte di questa, perché era posto nell’ambito della “Iscla de Posada”, come precedentemente precisava il Compartiment. (10)

©Marco Agostino Amucano

2018

1 D. PANEDDA, Il Giudicato di Gallura, Sassari 1978, passim, e in particolare p. 376.

2 P. BOFARULL Y MASCARÓ, Repartimiento de Cerdeña in Repartimientos de los reinos de Mallorca,

Valencia y Cerdeña, Barcelona 1856, poi ripubblicato in «Colección de Documentos Ineditos del

Archivo General de la Corona de Aragón», vol. XI, Edición anastatica: num. 4, Barcelona (Bellaterra)

1975, pp. 657-861.

3 D, PANEDDA, cit. p. 377.

4 FARAE, G. F. In Sardinae Chorograpiam, Introduzione, edizione critica e apparato a cura di Enzo Cadoni, Sassari 1992, p. 72s.

5 D. PANEDDA, cit. p. 376.

6 V. ANGIUS, Voce “Gallura” in Dizionario geografico storico statistico degli Stati di S. M. il Re di Sardegna, Torino, 1833-1855, p. 87.

7D. PANEDDA, cit. p. 378 (comodo elenco dei rimandi bibliografici ai singoli autori)

8 D. PANEDDA, cit. p. 377, nota 3.

9 K. KRETSHMER, Die Italienischen Portolane des Mittelalters, Berlin 1909, p. 462, n. 101.

10 D. PANEDDA, cit. p. 143