Sunday, 01 December 2024
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Pubblicato il 01 December 2024 alle 06:00
Olbia. Le immagini aeree catturate dal fotografo Luca Parisi rivelano la straordinaria architettura del pozzo sacro di Sa Testa, uno dei più affascinanti monumenti archeologici di Olbia e dell'intera Sardegna.
Vista dall'alto, la struttura disegna una forma sinuosa che richiama sorprendentemente quella di una chiave di violino: un'analogia che rende ancora più suggestivo questo antico luogo di culto. Per comprenderne meglio il valore storico e culturale, abbiamo incontrato l'archeologa Paola Mancini.
Originaria di Trudda, frazione di Loiri Porto San Paolo, Mancini rappresenta una delle figure più autorevoli nel panorama archeologico della Gallura. La sua storia professionale inizia nel 2000 con la laurea in Lettere classiche, coronata da una tesi sulla preistoria della Gallura, e prosegue con la specializzazione in archeologia conseguita a Firenze nel 2004. Da allora, Paola Mancini ha costruito un percorso professionale caratterizzato da rigore scientifico e profonda dedizione al territorio.
Il 2023 è stato un anno particolarmente significativo per lei, segnato dal Premio Tematico "Cultura" conferitole dal Comune di Loiri Porto San Paolo, un riconoscimento che celebra il suo costante impegno nella valorizzazione del patrimonio archeologico locale. Nello stesso anno, ha curato l'importante volume edito da Taphros, "Sulle strade d'Ogliastra. Il complesso tardoantico e altomedievale di Fusti 'e Carca a Tertenia", presentato al prestigioso Salone del libro di Torino.
Ciò che colpisce di Paola Mancini è la sua capacità di coniugare il rigore della ricerca scientifica con una profonda passione per la divulgazione. A lei abbiamo fatto alcune domande sul Pozzo Sacro.
Dottoressa Mancini, le immagini aeree rivelano una straordinaria complessità architettonica del pozzo sacro. Può descriverci la struttura di questo monumento?
"Mi permetto di fare prima una breve descrizione del monumento per i pochi che non lo conoscono e con l'invito alla visita di uno dei pozzi sacri meglio conservati della Sardegna. È realizzato prevalentemente in scisto, orientato sull'asse nord/nord-est e sud/sudovest; misura circa 18 metri ed è composto da un cortile circolare, con ingresso gradinato sul versante nord e da un vestibolo dal quale, attraverso una scala, si accede al pozzo coperto a tholos. Il cortile, presumibilmente destinato a riti collettivi, è delimitato da un alzato circolare alla base del quale corre una panchina. È pavimentato con lastre di scisto ed è attraversato, nella parte mediana, da una canaletta di scorrimento per le acque del troppo pieno. Il vestibolo è dunque un piccolo ambiente di raccordo tra il cortile e la scala d'accesso al pozzo; ha forma trapezoidale e presenta due sedili laterali. La scala, che porta alla sorgente, è composta da 17 gradini ed è coperta da una sequenza di architravi digradanti (copertura a scala rovesciata), in granito, mentre sul fondo si apre un incavo circolare, presso il quale sgorga l'acqua. Il vano del pozzo è costituito da una camera con copertura a tholos, al di sopra della quale si trova un altro ambiente, originariamente anch'esso a tholos, di cui è oggi visibile solo la base circolare”.
Gli scavi hanno riportato alla luce diversi manufatti. Cosa ci dicono questi reperti sulla datazione del monumento e sulla sua frequentazione?
"I materiali rinvenuti negli scavi compiuti nel 1938 attestano la realizzazione dell'opera tra il Bronzo recente e il Bronzo finale, e una continuità di frequentazione fino all'età romana. Tra i reperti editi spiccano alcuni ornamenti nuragici in bronzo, tra i quali un pugnaletto a elsa gammata e uno spillone e oggetti di età classica, tra cui coppe e piatti a vernice nera e bruciaprofumi che raffigurano la dea Cerere, nonché una statuetta lignea (xoanon) di controversa collocazione cronologica e culturale".
La posizione del pozzo sacro sembra particolarmente significativa. Quale importanza aveva questa collocazione?
"Questo sito ha una peculiarità straordinaria che condivide con il vicino pozzo sacro Milis a Golfo Aranci: è lontano dagli insediamenti nuragici diversi km e vicinissimo al mare. Proprio questa particolare localizzazione custodisce il suo grande significato: luogo di incontro tra le comunità locali e gli ospiti d'oltremare con un'ottica di accoglienza e di condivisione da cui, 3000 anni dopo, dovremmo proprio attingere".
Che tipo di rituali si svolgevano in questo spazio? Ci sono elementi archeologici che ci aiutano a ricostruire queste pratiche?
"È assolutamente importante ammettere le scarse conoscenze che abbiamo relativamente ai riti e alle attività umane dei Nuragici. L'archeologia ovvero lo scavo archeologico scientifico e gli studi compiuti sui pochissimi siti oggetto di indagine ci forniscono sicuramente importanti e sempre più illuminanti notizie ma le domande che rimangono senza risposta sono sempre di più rispetto ai dati certi di cui disponiamo. Ancora di più sono le incertezze relative ai riti e alla sfera del Sacro che è sempre l'aspetto più misterioso e sconosciuto di tutte le civiltà perché attiene alla sfera del sentire più che della pratica".
Cosa ci dicono gli elementi architettonici sulle pratiche rituali?
"Lo spazio aperto del cortile è caratterizzato dalla presenza di una serie di lastre interpretate come sedili che fanno pensare alla possibilità di ospitare i fedeli/pellegrini nell'ambito delle attività legate ai riti che qui si compivano e che prevedevano la deposizione di ex voto come attestano i numerosi bronzi figurati o i vaghi di collana in pasta di vetro e ambra (nel caso di Sa Testa in realtà le testimonianze pervenute sono poche). Se fosse accessibile a tutti o se fosse destinato a parti scelte delle comunità questo non è dato sapere, ma un indizio è sicuramente fornito dal fatto che non c'è nessuna barriera né nessuna forma apparentemente di ostacolo che impedisse l'ingresso, benché sia ovvio che nelle comunità che riconoscevano questo luogo come sacro potevano esistere dei codici di comportamento, così come in tutte le comunità e in tutti i tempi".
Quali sono le principali ipotesi sul ruolo dell'acqua e dei sacerdoti in questi rituali?
"Molte sono le ipotesi fatte sui riti e che spesso sono abbastanza ardite, come per esempio l'attribuzione di un ruolo importante alla figura femminile e quindi alla presenza di una sacerdotessa o per altri di un sacerdote, il solo a cui sarebbe stato accessibile lo spazio compreso tra il vestibolo e il pozzo vero e proprio o il ruolo riconosciuto al culto dell'acqua; in quest'ultimo caso possiamo oggi tranquillamente affermare che una società evoluta come quella nuragica non è pensabile che non avesse la sua o le sue divinità, ma venerasse un elemento naturale come l'acqua così come le società più primordiali ed è invece molto più probabile che l'acqua facesse parte integrante del culto e che fosse quindi uno strumento così come del resto capita anche, per fare un confronto a noi più vicino, nella religione Cristiana".
Come è cambiato l'ambiente intorno al pozzo sacro dal periodo nuragico ad oggi? E come questo cambiamento ha influenzato la conservazione della struttura?
"È indiscutibile che sia sempre più chiaro ed evidente che il preservare il contesto in cui i monumenti sono inseriti aiuta a comprendere meglio le motivazioni che hanno spinto le comunità a realizzarli proprio in quel luogo e con quelle caratteristiche. Dobbiamo però allo stesso tempo comprendere che sono trascorsi circa 3000 anni dalla realizzazione del Pozzo Sacro e notevoli, e spesso inevitabili, sono state dunque le trasformazioni che il territorio ha subito nel tempo. Ed è qui che è importante il compito dell'archeologo per far emergere quale fosse il contesto di appartenenza di questa struttura. È innegabile che è molto complicato allo stato attuale vedere com'era il pozzo nel momento della sua realizzazione e del suo utilizzo, localizzato a poche centinaia di metri dalla costa, lontano diversi chilometri dagli insediamenti e dunque dai Nuraghi in cui vivevano le comunità, ma posto lungo la via di comunicazione tra il mare e l'entroterra in cui le comunità stesse vivevano. Luogo principe di accoglienza e di condivisione. È ovvio che per quanto rimanga una costruzione affascinante e di indiscutibile rilievo, qualora fosse ancora inserita nel suo contesto, lontana dagli edifici e dagli uomini, sarebbe foriera di un messaggio e di una comprensione maggiori di una fase importante della nostra storia. Esempi come questo possono però aiutarci oggi a comprendere che la valutazione del passato può consentire di programmare meglio le esigenze insediative del futuro. Forse sarà stucchevole, ma è sempre opportuno ricordare che non c'è nessun progresso senza la conoscenza e la comprensione del passato".
Luca Parisi è un fotografo amatoriale di 42 anni con una storia personale che intreccia due regioni italiane: nato e cresciuto ad Andora, in Liguria, si è trasferito a Olbia, in Sardegna, 14 anni fa per amore, sposando una donna sarda. Il suo percorso fotografico inizia nell'infanzia con una Polaroid ricevuta in regalo, che accende in lui una curiosità destinata a trasformarsi in passione duratura. La sua evoluzione come fotografo attraversa diverse fasi: dalla fotografia tradizionale, passando per quella mobile con smartphone, fino alla recente scoperta della fotografia aerea con drone.
L'incontro con la fotografia da drone rappresenta per lui un punto di svolta significativo. Invece di aggiornare la sua vecchia macchina fotografica, sceglie di investire in un drone, conseguendo le necessarie certificazioni e patenti per pilotarlo. Questa scelta nasce dalla sua ammirazione per le prospettive uniche offerte dalla fotografia aerea (leggi qui e qui).
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