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Golfo Aranci: il tempo sulle onde - di Marco Agostino Amucano

Identità di un territorio tra terra e mare

Golfo Aranci: il tempo sulle onde - di Marco Agostino Amucano
Golfo Aranci: il tempo sulle onde - di Marco Agostino Amucano
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Pubblicato il 30 March 2025 alle 19:00

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Olbia. È con particolare piacere che presentiamo ai nostri lettori questo illuminante contributo del prof. Marco Agostino Amucano, archeologo e docente, tratto dalla sua relazione "Golfo Aranci: il tempo sulle onde", presentata durante l'importante conferenza "La nuova vita del Pozzo Sacro Milis" tenutosi il 20 Marzo 2025 presso la Sala consiliare del Comune di Golfo Aranci.- di Marco Agostino 

Il Prof. Amucano, noto per il suo approccio metodologico rigoroso e la sua profonda conoscenza del territorio gallurese, ci offre una lettura stratificata della storia di Golfo Aranci, tracciando un percorso che va dalla peculiare genesi di questo giovane centro costiero fino alle più antiche testimonianze archeologiche dell'area. Con la sensibilità che lo contraddistingue, l'autore intreccia analisi toponomastica, ricerca archeologica e interpretazione storica, rivelando come le "onde del tempo" abbiano modellato non solo il paesaggio fisico, ma anche quello culturale e identitario di questa porzione di costa.

Di particolare interesse è la sua trattazione del villaggio abbandonato di Conia e del fenomeno di contrappasso storico che ha visto, quasi simultaneamente, il declino di antichi insediamenti e la nascita dell'odierno Golfo Aranci, in un continuo gioco di equilibri territoriali che rispecchia la millenaria dialettica tra mare e terra. Buona Lettura. 

 

Golfo Aranci: il tempo sulle onde - di M. Agostino Amucano

Golfo Aranci rappresenta un caso di studio particolarmente interessante nell'evoluzione degli insediamenti costieri della Sardegna. Ci troviamo di fronte a un centro abitato la cui formazione ufficiale è relativamente recente, immediatamente successiva al 1882, in netto contrasto con la plurimillenaria Olbia che vanta addirittura un mito di fondazione greca, quella di Jolao, nipote e fedele compagno di Ercole, alla guida di un contingente di Tespiadi  e di coloni ateniesi.

Il poleonimo stesso originario, Golfo (degli) Aranci, merita una precisazione: non deriverebbe, come spesso erroneamente si crede, dalla presenza dei noti agrumi o dei numerosi granchi che un tempo abitavano gli stagni, bensì dalle formazioni sferiche della posidonia (egagropili), denominate in lingua sarda "aranzos", le stesse che diversamente denominate hanno dato il nome a Baia Caddinas. Un nome giunto dal mare, trasportato dalle onde insieme a quelle stesse aggregazioni fibrose che, depositate sulla battigia, hanno ispirato la denominazione del luogo. Esempio significativo di come un fenomeno naturale possa influenzare la toponomastica locale, creando un legame diretto tra l'ambiente marino e l'identità culturale di un insediamento.

La nascita di Golfo Aranci come insediamento abitato è intrinsecamente legata a una contingenza storica e infrastrutturale: l'impossibilità di utilizzare il porto di Olbia come terminale per la ferrovia del nord-est sardo. Questo impedimento aveva radici antiche, risalenti al XIV secolo, quando i genovesi, nel contesto delle rivalità marittime mediterranee con Pisa e gli Aragonesi, , ostruirono la stretta imboccatura del golfo interno olbiese, Sa Bucca, la bocca appunto. Un’azione di sabotaggio che si trasformò in un condizionamento geografico permanente, quando l'avvento delle moderne navi a vapore rese evidente l'inadeguatezza del fondale olbiese, creando nuove gerarchie territoriali e modificando in modo sostanziale i destini di intere comunità.

La scelta di terminare la ferrovia a Golfo Aranci e di costruirvi uno scalo portuale non fu quindi frutto di una pianificazione strategica deliberata, ma un adattamento pragmatico alle circostanze. Un ripiego che, come spesso accade nella storia, si è trasformato in un'opportunità di sviluppo.

La stratificazione archeologica: il Pozzo Sacro di Milis nel contesto territoriale

Se come insediamento urbano Golfo Aranci è decisamente giovane, il suo territorio custodisce testimonianze di una frequentazione umana di notevole antichità. Il Pozzo Sacro di Milis, oggetto dell'intervento di restauro che oggi celebriamo, rappresenta l'emblema più spettacolare di questa stratificazione storica.

Consentitemi un inciso paradossale: il pozzo deve parzialmente la sua sopravvivenza a ciò che oggi classificheremmo come compromissione dell'integrità monumentale. La sua falsa cupola, tra le più notevoli dell'architettura nuragica in questa tipologia di monumento, subì alterazioni per l'installazione di un sistema di pompaggio a servizio delle locomotive.

Questo adattamento utilitaristico, benché antitetico ai moderni principi di tutela, ha costituito una salvaguardia involontaria: la rifunzionalizzazione del manufatto, preservandone l'utilità sebbene in forma decontestualizzata, lo ha sottratto all'abbandono e al conseguente degrado, meccanismo analogo a quello che ha garantito - mi limito a un esempio molto sardo - la persistenza di numerose strutture nuragiche riconvertite in ambito agro-pastorale.
Giusto per rimanere in tema di onde e di tempo, come il titolo della mia breve relazione indica, di singolare rilevanza è l'insolita collocazione topografica del Pozzo di Milis: un santuario delle acque in prossimità del litorale, privo dell'abituale contesto insediativo circostante. Questa peculiarità spaziale che accenno appena — rimandando ad altri specialisti l'esplorazione dell’ipotesi del culto delle acque[1] in relazione alla navigazione costiera — rappresenta uno degli enigmi più stimolanti del sito.

Figarolo: testimonianza di continuità insediativa e funzionale

Tra gli elementi più affascinanti del comprensorio golfarancino spicca l'isola di Figarolo, dove nell’ultima parte del XIX secolo l'archeologo Pietro Tamponi documentò una villa marittima romana, leggendariamente attribuita ad Atte, la celebre concubina di Nerone esiliata in questo territorio, il cui nome resta intimamente legato all’antica Olbia primo imperiale. La peculiarità di questa struttura, oggi difficilmente riconoscibile sul terreno, risiede nella sua probabile vocazione non utilitaristica ma residenziale-paesaggistica. Con le dovute cautele interpretative, potremmo scorgervi un'antica prefigurazione di quella valorizzazione estetica del litorale che, due millenni dopo, avrebbe definito la vocazione turistico-residenziale di queste coste.

 La stratificazione insediativa: da Conia a Sant'Eliseo

La storia di questo territorio non è solo quella della crescita e dell'evoluzione. È anche una storia di abbandoni, di luoghi che perdono la propria funzione e vengono progressivamente dimenticati, lasciando tracce che l'archeologo deve pazientemente ricomporre. Se fino ad ora abbiamo osservato le onde del tempo portare sviluppo e innovazione, ricerca di sacro e benessere, dobbiamo ora considerare anche il loro lato più oscuro: quello in cui le stesse onde trasportano morte, saccheggi, distruzione e desolazione, cancellando secoli di presenza umana.

Particolarmente significativo è il caso del villaggio di Conia (qui un articolo), situato nell'omonima località verso Campu Maiore, in prossimità della parte più interna del fiordo di Cugnana. Abbandonato agli inizi dell'Ottocento in seguito alle ultime incursioni barbaresche che afflissero le coste sarde, questo insediamento fu interamente evacuato, lasciando strutture che rimasero per lungo tempo intatte ma deserte, come sospese in una dimensione liminale tra persistenza e oblio.

La vicenda di Conia ci è stata tramandata inizialmente dalla tradizione orale, raccolta con rigore metodologico da Dionigi Panedda presso la comunità di Rudalza. Secondo questo suggestivo racconto, gli abitanti del villaggio si sarebbero difesi con ingegno, utilizzando la lisciva bollente contro l'attacco di incursori turchi, sbarcati sulla non lontana costa di Marinella. Per anni questa narrazione è rimasta sospesa tra storia e leggenda, in assenza di evidenze materiali che potessero autenticarla.

Le prospezioni condotte nell'area ci hanno finalmente permesso di identificare i resti dell'insediamento. Il sito presenta oggi un nucleo di strutture ancora riconoscibili, caratterizzate da pianta rettangolare e murature conservate fino ad altezze considerevoli. La distribuzione spaziale rivela due distinti agglomerati abitativi, separati da una distanza di circa duecento metri. I reperti ceramici rinvenuti in superficie collocano l'occupazione del villaggio tra il XVI e gli inizi del XIX secolo, corroborando così la tradizione orale e fornendo una cronologia congruente con il fenomeno storico delle incursioni barbaresche.

A breve distanza da Conia, troviamo il rudere della chiesa di Sant'Eliseo (qui un articolo), un edificio dalle dimensioni ragguardevoli (33 x 6,20 metri), che superava in estensione qualsiasi altro edificio religioso conosciuto dell'agro olbiese. La sua monumentalità trova ragione nel vasto bacino demografico che serviva: gli insediamenti sparsi nelle fertili aree di Conia e Campu Majore. È significativo che la titolazione al profeta Eliseo, figura centrale dell'Antico Testamento, potrebbe suggerire un'origine bizantina dell'edificio, sebbene al momento le caratteristiche architettoniche e le fonti documentarie la collochino verosimilmente tra il XV e il XVII secolo.

Non lontano da questi siti si situava la medievale Villa Major, l'insediamento più rilevante della curatoria giudicale di Fundi de Monte dopo il capoluogo Terra Nova. Questo comprensorio, che, come detto, gravita naturalmente sul Golfo di Cugnana — dove in età spagnola sorgevano le Saline regie — vanta una continuità insediativa che risale addirittura all’ultimo Neolitico, come attestano il dolmen menzionato per la prima volta da Paola Mancini e i tafoni naturali di Campu Maiore, testimonianze di una frequentazione umana di straordinaria antichità.

La toponimia ci offre ulteriori spunti interpretativi di notevole interesse. Il nome Conia sopravvive nelle varianti Conzano (in logudorese) e Cugnana (in gallurese), quest'ultima preservata nell'odierna denominazione del golfo. È rilevante osservare come la documentazione medievale attesti l'esistenza di un "Saltus Conianus", espressione che esemplifica il classico processo linguistico di derivazione aggettivale patronimica latina, mediante l'aggiunta del suffisso "-anus" al toponimo originario, secondo una pratica comune nella formazione di aggettivi territoriali. Particolarmente suggestiva è l'ipotesi etimologica che riconduce il toponimo base all'aggettivo greco κονία (konia), "polveroso" o "sabbioso", che descriverebbe con sorprendente precisione le caratteristiche geomorfologiche dell'area pianeggiante su cui sorgeva l'insediamento. Questa corrispondenza semantica potrebbe suggerire radici molto più antiche per la frequentazione dell'area, forse risalenti al periodo altomedievale bizantino.

Altri toponimi meriterebbero un approfondimento sistematico: è il caso di Donnigheddu, la cui etimologia potrebbe ricondurre a donnikellu, termine che designava il figlio o un parente del Giudice di Gallura, suggerendo così un legame diretto del territorio con la famiglia giudicale. Questi elementi toponomastici costituiscono un patrimonio linguistico e storico di straordinario valore che necessita di essere studiato con metodologie interdisciplinari, integrando linguistica storica, archeologia e analisi documentaria.

Si compie così, nella storia di questo territorio, un contrappasso storico di rara eloquenza: mentre una parte del comprensorio si svuotava e cedeva all'oblio, un'altra, quasi in contemporanea, si preparava a rinascere con la fondazione di Golfo Aranci. È come assistere a un silenzioso gioco di equilibri territoriali: da un lato un insediamento che esala l'ultimo respiro, dall'altro un nucleo che muove i primi passi verso il futuro. Questa continua oscillazione tra abbandono e ripopolamento riecheggia il movimento stesso delle onde che hanno scandito la storia di queste coste – onde che giungono e si ritirano, che modellano e cancellano, che portano e sottraggono – incarnando quella perenne dialettica tra mare e terra che ha definito il destino degli insediamenti costieri sardi, eternamente sospesi tra la vulnerabilità alle minacce esterne e l'irresistibile richiamo delle risorse marine.

Una responsabilità per il futuro

Oggi Golfo Aranci rappresenta un centro vitale con una propria identità ben definita, ben lontano dall'essere quel "ripiego infrastrutturale" delle sue origini. Il porto e il turismo hanno conosciuto negli ultimi decenni uno sviluppo straordinario, trasformando positivamente l'assetto socioeconomico e urbanistico dell'area. Questo stesso spirito di sviluppo può ora estendersi anche al patrimonio archeologico locale, la cui valorizzazione rappresenta la naturale evoluzione nel percorso di crescita della comunità.

Il restauro del Pozzo Sacro di Milis, che oggi celebriamo con legittima soddisfazione grazie all'impegno dell'amministrazione comunale e degli enti coinvolti, rappresenta un primo fondamentale passo in questa direzione, una pietra miliare nel cammino verso la piena valorizzazione del nostro patrimonio culturale. Questo risultato concreto ci invita a proseguire sulla strada intrapresa. La ricchezza archeologica di questo territorio offre infatti l'opportunità per un progetto organico e lungimirante, che inserisca i singoli monumenti in un sistema integrato di tutela e valorizzazione.

L'esperienza di Conia ci insegna quanto sia prezioso preservare la memoria dei luoghi: possiamo fare in modo che il nostro patrimonio archeologico ritrovi voce e si integri nella narrazione contemporanea del territorio, arricchendo l'identità culturale che la comunità sta costruendo.

 Alba su Golfo Aranci - foto di Luigi Sanna

Questo comprensorio, che si è già affermato come protagonista nel panorama turistico della costa nord-orientale, ha l'opportunità di distinguersi ulteriormente attraverso la sua profondità storica. Osservandolo con quello sguardo paziente e metodico che caratterizza l'indagine archeologica, scopriamo un palinsesto di culture e frequentazioni che dal Neolitico all'età moderna hanno plasmato questo territorio.

Sta a noi, insieme, continuare a portare alla luce questa eredità, inserendola in un progetto che arricchisca Golfo Aranci non solo nella sua già consolidata dimensione portuale e turistica, ma anche in quella profondità storica che conferisce autentica pienezza all'identità di un luogo e della comunità che lo abita.

[1] Sull’uso dell’espressione culto delle acque, è opportuno chiarire che non si intende l’adorazione dell’acqua in quanto tale, ma il complesso sistema simbolico e rituale che ruota attorno all’acqua come elemento sacro. Si tratta, più propriamente, di una sineddoche linguistica, una forma abbreviata e convenzionale per indicare pratiche cultuali connesse alla percezione dell’acqua come mediatrice del divino o luogo di manifestazione del sacro. In tal senso, il complemento di specificazione (delle acque) assume valore prossimo a quello del complemento di argomento. Come osserva Mircea Eliade, in molte religioni tradizionali gli elementi naturali — e l’acqua in particolare — non sono venerati in sé, ma come ierofanie, rivelazioni di una presenza altra. L’acqua, in questo quadro, è soglia, passaggio, punto d’emergenza del sacro nel mondo.