Tuesday, 25 March 2025
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Pubblicato il 23 March 2025 alle 19:00
Olbia. L’articolo che pubblichiamo è stato scritto da don Gianni Satta, titolare della Parrocchia di San Paolo in Olbia, intellettuale profondamente legato alla cultura e alla spiritualità della nostra isola.
Dopo il recente niet vaticano alla celebrazione della Messa in lingua sarda, questo testo ripercorre le tappe storiche e teologiche di una questione che non è solo liturgica, ma anche identitaria e culturale.
Don Satta ci offre una panoramica documentata sullo status quaestionis, partendo dai primi secoli della Chiesa fino alle recenti normative europee sulla tutela delle lingue minoritarie. La sua analisi tocca il cuore di un dibattito che coinvolge la comunità ecclesiale sarda, ma che risuona anche nell'animo di chi crede che la lingua materna sia veicolo privilegiato per esprimere la propria spiritualità.
È una riflessione aperta, appassionata e documentata, che invita alla discussione pubblica e al confronto costruttivo. Olbiachefu la accoglie con rispetto e attenzione, nella convinzione che parlare di cultura e fede significhi anche parlare del futuro della Sardegna e della sua identità più profonda.
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A proposito dell’articolo della Nuova in data 16 marzo 2025, intitolato "La messa in limba resta un sogno, dal Vaticano arriva un nuovo no", voglio partire dalla fine: attualmente la liturgia ‘latina’ viene celebrata in più di 400 lingue.
La questione delle lingue cultuali, viene posta nei primissimi secoli, in occidente, quella dal greco al latino e, nel sec. IX, quella dal latino alle lingue slave. Con la Riforma protestante, nel secolo XVI, si passa alla traduzione della Bibbia in lingua volgare, senza che l’autorità cattolica ceda sul latino. Nel ‘700 la traduzione ufficiale della Bibbia in italiano dell’abate Martini e nell’800 si ripresentano le questioni delle lingue cultuali con Rosmini. Nel 900 studiosi e pastori con insistenza segnalano il problema.
I Padri del Concilio Vaticano II adottano il principio secondo il quale l’uso della lingua madre, nella messa o in altre parti della liturgia, può essere spesso a vantaggio delle persone. L’anno seguente il Concilio vota l’applicazione di questo principio alla Messa, al rituale e alla liturgia delle Ore (cfr Sacrosanctum Concilium, 36, 54, 63°, 76, 78, 101).
Il 14 giugno 1971, la Congregazione per il Culto Divino manda una comunicazione in cui si afferma che le Conferenze Episcopali possono autorizzare l’uso del vernacolo in tutti i testi della messa, e ogni Ordinario può dare la stessa autorizzazione per la celebrazione corale o privata della liturgia delle Ore.
Il citatissimo n.14 della Sacrosanctum Concilium spiega le ragioni dell’introduzione della lingua materna. "Essa promuove una miglior comprensione di quel che la Chiesa prega, poiché è ardente desiderio della madre Chiesa che tutti i fedeli vengano formati a quella piena, consapevole e attiva partecipazione alle celebrazioni liturgiche, che è richiesta dalla natura stessa della liturgia…(e alla quale) il popolo cristiano ha diritto e dovere in forza del battesimo".
L’Istruzione Liturgiam authenticam n. 20 recita "La traduzione dei testi liturgici della liturgia romana non è un lavoro di innovazione creativa ma si tratta piuttosto di tradurre i testi originali con fedeltà e accuratezza nelle lingue volgari". La responsabilità per la traduzione dei testi spetta alla Conferenza episcopale che sottomette le traduzioni alla Santa Sede per la necessaria recognitio (cf SC 36; C.I.C. Canone 838; Lit. Authenticam, 80).
La normativa europea, nazionale e regionale per la salvaguardia delle lingue storiche minoritarie è ricca. Richiamo semplicemente alcuni riferimenti storici legislativi:
Questo è lo status qaestionis generale. Il prezioso contributo di cattolici laici qualificati come Bachisio Bandinu, Per una Chiesa Sarda, è l’esito di un percorso spirituale, intellettuale, comunitario di, quella che lui chiama, esplorazione di un rapporto tra chiesa locale e cultura antropologica sarda.
Allora, la domanda iniziale di Bandinu: Esiste una Chiesa sarda? Trova una risposta nel lungo lavoro di laici, presbiteri e vescovi, sardofoni. Mi riferisco a due vescovi, attualmente emeriti, Piseddu e Sanguinetti, che hanno accompagnato il lavoro liturgico, biblico della traduzione della messa in sardo. E, alla sorprendente, iniziativa del laicato cattolico che in modo appassionato, competente ispirato dai testi conciliari della Gaudium et Spes, Dei Verbum e Lumen Gentium ha stimolato la riflessione e il compito di ogni chiesa locale, sarda. Insieme al Concilio plenario sardo che ha affrontato l’Aggiornamento della chiesa che è in Sardegna.
Agli inizi, sembrava, tecnicamente, che la questione della Messa in sardo fosse liturgica, se e come poter dire il Mistero nella liturgia, conservando il linguaggio sacrale e simbolico. Con innegabili discussioni glottologiche, fonetiche, testuali, dogmatiche, liturgiche, il risultato è stato raggiunto. E il testo sempre passibile di emendamenti. Io stesso ho sollevato al professor Bandinu alcune questioni e dogmatiche e liturgiche. In effetti, il testo della Messa in sardo, nella versione duplice logudorese e campidanese anche a una prima lettura, a mio avviso, ha piena dignità liturgica.
Ora sembra che la questione emersa sia la Sacra Scrittura. Il sardo, nella versione lugudorese e campidanese, si è prestato bene alla traduzione della Scrittura, della Bibbia. Anzi, all’inizio dei lavori c’era la certezza del dato biblico in sardo, anche in molteplici versioni, fosse il lavoro già pronto. Nella consapevolezza che la traduzione per l’uso liturgico della Sacra Scrittura ha le particolarità proprie della comunità celebrante. Tuttavia un lezionario basico è disponibile.
Viene da dire: se non ora, quando? Se ci sono ostacoli chi li rimuove? È L’episcopato sardo che deve inoltrare alla CEI la validità, l’urgenza, la fecondità e la bellezza dell’espressione della lingua materna. E in modo precipuo vescovi, presbiteri, diaconi sardofoni che conoscono "l’identità religiosa sarda (quel) patrimonio storico, antropologico, artistico, musicale e linguistico di fede, di riti, di esperienze di preghiera nel lavoro e nella festa, di tutte le espressioni della comunicazione con Dio e con il prossimo" (Bandinu).
Ogni uomo ha la sua lingua, la sua storia e la sua cultura che permette di parlare, di interagire con tutti. La prima cosa che la chiesa ha compresso e attuato sempre, dall’inizio, è l’inculturazione: tradurre, portare il vangelo ad ogni uomo. Il Verbo che si è fatto carne, perché ogni Carne divenga Umo: È il senso dell’alterità non dell’omologazione. Puru a Deus si pregat in sardu.
Don Gianni Satta
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