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Un Angelo custode per la vela latina

Un Angelo custode per la vela latina
Un Angelo custode per la vela latina
Marco Agostino Amucano

Pubblicato il 09 September 2018 alle 15:44

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Olbia, 09 settembre 2019- L’incontro con Angelo Dettori è alla Lega Navale di Olbia. Un salto dal molo ed eccoci dentro il “Salvatore Padre”, che ci aspetta paziente. Avevo messo in conto anche l’eventualità che sarebbe potuto essere solo un ripasso di cose già sentite, o intuite, ma non è stato per niente così.

Conosco Angelo da quando avevo undici anni. Portavamo i pantaloncini corti anche d’inverno, quando capitammo nella stessa aula della scuola media, e presto finimmo a combinarne tante insieme, nei lunghi pomeriggi di gioco di quegli anni formidabili. Continuammo ad essere compagni di scuola anche nel quinquennio del Liceo Classico “Dante Alighieri”. Là avevamo Antonetto Lupacciolu come professore di storia e filosofia, grande appassionato di vela, ed il preside era Giacomino Satta, uno dei massimi latinisti del tempo. Bei tempi, altri tempi, quando la scuola non era asfissiata dagli acronimi e dalla burocrazia.

[caption id="attachment_107794" align="aligncenter" width="1069"] Angelo Dettori durante la nostra intervista[/caption]

Può sembrarvi strano dunque che abbia voluto registrare l’intervista fatta ad Angelino (anche io sono abituato a chiamarlo così), con cui – facile capirlo - siamo amici da una vita ormai, e che in fondo posso vedere in ogni momento. Non dirò i motivi per cui ho insistito nel voler fare la registrazione vocale, ma ecco che nel riascoltarla appare un terzo suono oltre alle nostre voci, un suono cui sbadatamente non avevo fatto caso lì per lì. È quello scricchiolìo discreto dei legni che regolarmente si sente, che è la lingua, ma che dico?, la poesia in versi ritmati con cui la barca in legno comunica discretamente la sua vita, e lo fa anche senza navigarci, restandoci semplicemente seduti e senza sciogliere gli ormeggi e partire verso est, come noi in questo momento.

“Il primo passo verso la grande passione della vela latina lo feci con una vecchia lancia in legno degli anni Quaranta, che ancora possiedo. Il primo proprietario, un certo Mossa, lavorava all’ufficio postale di Olbia. Successivamente fu acquistata dall’indimenticato zio Mirìa Tracculeddu, quello che aveva il banchetto dei cannolicchi all’Isola Bianca e che andava a pescarli alla foce del Padrongianos proprio con questa lancia. Finì per vendermela nel 1997 e l’ho subito ribattezzata “Lavinia Mia”. Lavinia è il nome di mia figlia ventitreenne che ora studia psicologia a Firenze. Quella di intitolare la barca ad un parente, specialmente se non c’è più, è una bellissima ed antica tradizione usata fra coloro che sul mare ci vivono e dal mare traggono sostentamento”.

Da Lavinia figlia a “Salvatore padre”: eccomi spiegato il nome dato a questa stupenda piloga di circa otto metri e mezzo, tradizionale imbarcazione di S. Antioco, nel cui pozzetto sediamo godendoci il tramonto e gli ultimi scampoli della brezza marina.

[caption id="attachment_107795" align="aligncenter" width="3216"] Il "Salvatore Padre" di Angelo Dettori ormeggiato presso la Lega Navale di Olbia[/caption]

“Io ed un amico l’abbiamo commissionata nel 2005 ai famosi cantieri Cara-Dessì di S. Antioco. Il mastro d’ascia ci ha proposto un modello già collaudato e l’abbiamo accettato. Si realizzava così per noi il sogno di partecipare alle regate e ai raduni di vela latina. Un sogno nato ammirando le indelebili emozioni che ci davano le regate annuali di Stintino. Fino a settanta gozzi spinti dalla vela latina che riempiono il golfo dell’Asinara: un’immagine che ti segna”. Il premio Vela Latina-Trofeo Presidente della Repubblica è il più antico e prestigioso della Sardegna; nato nel 1983, è giunto quest’anno alla sua trentaseiesima edizione.

“ Nel 2001 abbiamo costituito così l’Associazione della Vela Latina di Olbia. Organizziamo convegni tematici, cui hanno partecipato anche prestigiosi studiosi provenienti da varie nazioni (già quattro gli incontri, tenutisi tutti ad Olbia a scadenza biennale), utili a promuovere lo studio e la divulgazione della cultura marinara mediterranea, uno dei nostri scopi fondamentali. Ci occupiamo anche del recupero, della salvaguardia e del restauro conservativo, come anche della costruzione di imbarcazioni armate a vela latina. E, ovviamente, partecipiamo o organizziamo noi stessi raduni e regate con questa tipologia di barche, sulla scorta del modello stintinese, apripista di questo genere di manifestazione”.

L’evento principale che l’Associazione Vela Latina di Olbia organizza è il Trofeo Re di Tavolara, regata per vele latine. L’appuntamento è per il prossimo 15 settembre nelle acque dell’Area Marina Protetta. Nonostante la crisi, che fra un po’ ci verrà spiegata, si prevede una ricca partecipazione.

“Di volta in volta nell’organizzare questa manifestazione ci appoggiamo alla Lega Navale o al Circolo Nautico di Olbia, o ad entrambi. Inizialmente era nato come Trofeo della Saurra, che viene ancora assegnato all’interno della manifestazione, per quanto questa prima idea abbia dovuto soccombere davanti al fascino ed alla suggestione del nome “Tavolara”. Per saurra si intendeva quell’importante settore dell’economia concernente il trasporto del pietrame da Tavolara verso i forni di calce, ma anche quello della sabbia per l’impasto della calce e del cemento, che era estratta a mano dal fiume Padrongianos, da qui il nome appunto di saurra, sabbia in logudorese.

Nel Trofeo Re di Tavolara, giunto quest’anno alla sedicesima edizione, usiamo criteri di classificazione diversi. Tendiamo a privilegiare infatti non tanto lo spirito di competitività, che mal si adatta alla tipologia di mezzo natante, quanto piuttosto lo spirito di aggregazione, la passione ed i valori comuni del rispetto e dell’attenzione per il mare, non senza rinunciare al piacere di divertirsi, in un clima goliardico. Si passa una giornata di vela, cucina…..vino e birra. Torniamo a casa stanchissimi, ma soddisfatti di avere trascorso una giornata indimenticabile“.

[caption id="attachment_107797" align="aligncenter" width="2880"] Un'immagine del IV Convegno "Dalla vela quadra alla vela latina" organizzato nel 2017 dall'Associazione Vela Latina di Olbia presso il Museo Archeologico[/caption]

Chiedo ad Angelino qualche numero. “L’anno scorso, nel 2017, hanno partecipato alla regata di Tavolara quattordici imbarcazioni provenienti da Alghero, Stintino, Porto Torres, Carloforte, La Maddalena ed ovviamente Olbia. Per quanto riguarda invece la nostra associazione, quando è nata, nel 2001, contava ben tredici soci titolari armatori di una vela latina. Oggi purtroppo le barche si contano sulle dita di una mano”. Immaginabili le cause, sebbene non del tutto. “Il problema è sì economico, ma anche sociale” spiega Angelo. “Prima le barche a vela latina –parlo fino a venticinque, trent’anni fa – appartenevano a pescatori che le usavano per lavoro e poi, per diletto partecipavano alla regata di Stintino, inizialmente l’unica del genere. Pian piano però le barche cominciarono ad essere abbandonate. I figli non facevano più il lavoro dei padri, e figuriamoci i nipoti! Il tipo di armo è caduto in desuetudine, e pertanto la sopravvivenza di questo genere di imbarcazione a vela latina, rigorosamente costruita in legno, è stata tutta sulle spalle di appassionati ed amatori come me, che sa bene quali sono gli altissimi costi di manutenzione e di gestione del posto barca. Ciò spiega perché ci sia stata una corsa a cedere queste barche. Siamo arrivati al punto da vedercele proporre in regalo, ma come si fa a prenderle tutte? Ed ecco allora lo spettacolo triste vederle tirate a terra e lasciate lì a sfaldarsi sotto gli agenti atmosferici. Per tornare a Stintino, sono tante le imbarcazioni che si vedono così “parcheggiate. Nella regata Presidente della Repubblica da settanta unità partecipanti si è scesi ad una decina”.

[caption id="attachment_107799" align="aligncenter" width="960"] Alcune delle barche a vela latina partecipanti all'ultima regata "Trofeo Re di Tavolara" dell'anno 2017[/caption]

Rifletto fra me e me se così proseguendo non vi sia il rischio che questo mondo meraviglioso, per quanto di nicchia, non rischi prima o poi di scomparire, divorato dalla plastica e dalla vetroresina con cui oggi le barche da diporto vengono fatte a stampino. C’è qualcosa di romanticamente eroico in questa ricerca di salvaguardare un bene così prezioso, che non è solo materiale, ma anche immateriale, nel senso di una cultura, un modo di navigare, che affonda nella notte dei tempi. Chi possiede una barca del genere, raramente lo si vede stare in una caletta di Capo Ceraso tenendo una radio a tutto volume.

“Abbiamo bisogno di essere aiutati da Stato, Regioni, Comuni; ci vogliono degli incentivi, come accade in paesi di grande civiltà marinara come la Francia, l’Olanda ecc. Dovremmo avere uno sgravio almeno sul costo di gestione del posto barca, sarebbe un importante incoraggiamento per noi. Qualcosa va fatta, si deve cominciare a trovare delle soluzioni. Altrimenti tutto il nostro impegno rischia di portare ad un fallimento”.

Come non dare ragione a chi dedica la maggior parte del suo tempo libero a questa autentica missione di salvaguardia, che però coinvolge tutta la comunità. Piuttosto, gli chiedo se c’è un segreto che lo spinge a fare tutto questo, per pura passione e, diciamolo, rimettendoci di tasca.

“Qualcosa che nemmeno io so spiegare mi scattò dentro circa sette anni fa, quando Mario Putzu, noto Gess, vecchio amico di mio padre Salvatore, morto nel 1983, mi chiamò al telefono e mi disse che prima di andarsene voleva farmi un regalo. Era una stampa fotografica in bianco e nero scattata nel porto di Olbia nel 1953/54, dove c’è mio padre Salvatore, giovanissimo, che posa insieme ad altri amici stando in piedi sull’antenna di un grande barcone a vela latina, ancora non identificato. Vedendo questa foto (lui è quello che sta più in alto), per la prima volta ho preso coscienza che tutto era scritto nel mio DNA, che tutto quello che avevo fatto e stavo facendo per la vela latina aveva dietro un qualcosa in più di un semplice interesse personale. Non è facile spiegare...".

Non è facile spiegare, ma capiamo lo stesso, caro Angelo custode dalla vela latina di Olbia. La nostra città deve solo ringraziarti degli sforzi profusi per la salvaguardia di questi meravigliosi manufatti artigianali e della nostra cultura marinara, facendolo senza ricerca di inutili vanaglorie e protagonismi, e con l’umiltà arguta ed intelligente che ti ha sempre contraddistinto.

©Marco Agostino Amucano