Friday, 25 April 2025
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Pubblicato il 25 April 2025 alle 11:20
Olbia. La parola genocidio è stata solo sussurrata da terzi (non bisogna dimenticare che Israele nega i visti d'ingresso come ritorsione), si è parlato impropriamente di guerra (quella in Palestina non è una guerra), ma nonostante ciò la potenza del racconto di Padre Ibrahim Faltas, un "Pellegrino di pace" ospitato ieri sera alla Salette grazie all'iniziativa di don Sini, è arrivato forte e chiaro alla numerosa platea che ha deciso di partecipare all'incontro. Padre Ibrahim Faltas non è un frate francescano qualsiasi: è il vicario per la Terra Santa nominato da papa Bergoglio. Nato in Egitto nel 1964, da oltre 30 anni vive in quell'area facidiata dalla colonizzazione, dall'apartheid e dalle lotte per l'autodeterminazione.
Don Sini lo ha definito pellegrino di pace e di certo non si può trovare una definizione più azzeccata di questa per padre Faltas. Pur rimarcando più volte la capacità di palestinesi e israeliani di vivere in pace, il vicario per la Terra Santa non ha edulcorato i crimini che Israele commette nella Striscia di Gaza.
"A Gaza non c'è più niente da più di 60 giorni, non entra nemmeno un panino", ha detto Faltas. Questo perché Israele (e non da 60 giorni) usa la fame come arma di guerra: questo è solo uno dei tanti crimini commessi dallo Stato sionista elencati, con dovizia di particolari, nelle relazioni della dottoressa Francesca Albanese, relatrice speciale per i territori palestinesi occupati per l'Onu.
"Il 90% delle case è stato distrutto, non possono arrivare gli aiuti umanitari e nessuno riconosce più la propria casa, in questa guerra i numeri indicano che i bambini sono quelli che hanno pagato il prezzo più alto. 20 mila bambini sono morti, più di 20 mila sono rimasti orfani, più di 20 mila hanno bisogno di cure e assistenza", ha sottolineato il vicario nel silenzio tombale della Salette.
In mezzo a tanta distruzione, a tanta morte, a infiniti traumi che diventeranno intergenerazionali, esiste anche qualche luce di speranza. Un piccolo numero di bambini palestinesi, circa 200, è riuscito a uscire dalla Striscia di Gaza per giungere in Italia: "hanno perso tutto, genitori, nonni, famiglia, e hanno raccontato anche a Papa Francesco che li ha incontrati di aver lasciato l'inferno e aver trovato il paradiso". Si dirà che è una goccia del mare, ma forse dovremmo auspicare che queste gocce aumentino (e non solo facendo scappare i feriti).
Il dramma palestinese, ha raccontato il vicario, non riguarda solo l'enclave della Striscia (che, ricordiamolo, è isolata dal 2006 per esclusivo volere di Israele che ne controlla arbitrariamente, e in totale disprezzo del diritto internazionale, i confini marini e terrestri - l'aeroporto è stato infatti distrutto, sempre dall'esercito sionista, tra il 2001 e il 2002) ma anche la Cisgiordiana: l'altro residuo di Palestina che, in teoria, dovrebbe essere lasciato ai nativi (cioè i palestinesi). Anche in Cisgiordania la vita, che non era semplice neanche prima del 7 ottobre (anche a causa delle conseguenze degli Accordi di Oslo), è diventata un inferno: "non ho mai visto una cosa del genere - ha proseguito padre Faltas con la tristezza negli occhi -. Tutti stanno zitti, hanno paura e nessuno parla, solo Papa Francesco si è speso fino all'ultimo per difendere e richiedere la pace, fino all'ultimo ha gridato alla pace, lui ha detto cessate il fuoco, liberate gli ostaggi, e ha anche incontrato le famiglie degli ostaggi".
C'è poi un aspetto che tutti fanno finta di dimenticare: i palestinesi non sono solo di religione musulmana. I palestinesi sono anche di religione cristiana: questa è una delle comunità cristiane più antiche del mondo che, via via, sta per essere cancellata non solo a causa della bassa natalità o delle discriminazioni perpretrate sia nei territori occupati che in Israele, ma anche a causa dei crimini di guerra nella Striscia di Gaza come nella West Bank.
Faltas ha dato anche i numeri di questa catastrofe: "Siamo passati da 90 mila a 9 mila cristiani, da in analisi fatta si conta che fra 25 anni non ci sarà più un cristiano in terra santa", ha detto Padre Faltas.
Nell'area in questione, comunque, non ci sono violenza e sopraffazione solo in quello che rimane della Palestina storica: "in Siria ci sono i frati dal 2011 e in questi 14 anni di guerra, tanti milioni di cristiani sono andati via. La Parrocchia di Aleppo che contava 300 mila persone ora non arriva a 20 mila e in tutti questi anni è stato ucciso 1 frate, 4 sono stati rapiti e in tanti sono stati reclusi in un villaggio per 6 anni. Tutti noi siamo preoccupati, La Chiesa è preoccupata, nel tempo con questa guerra anche chi aveva il permesso di uscire per andare a lavorare si è visto negare questo permesso, e ora senza permessi, niente lavoro e in tanti hanno scelto di andare via".
Dopo questo durissimo racconto, fatto di numeri crudi e passaggi che straziano il cuore, don Sini ha lasciato spazio anche alle domande dei presenti. Si è anche parlato di Gerusalemme, la città delle tre religioni monoteiste, un posto che dopo la proclamazione dello Stato israeliano e con il passare dei decenni è diventato un vero e proprio campo di battaglia chiaramente ai danni dei palestinesi. Qui spicca il ragionamento, per niente campato in aria, di padre Faltas: "Tutti vogliono Gerusalemme ma Gerusalemme deve essere una città aperta a tutti, internazionale e di tutti. Solo così ci sarà la pace" ha detto a gran voce Padrea Faltas. Una città aperta: cioè ciò che era un tempo, quando ebrei, musulmani e cristiani condividevano la stessa terra, la stessa città, la stessa cultura.
Nel suo percorso di frate vicino al popolo e difensore del popolo Ibrahim Faltas ha anche raccontato alcuni avvenimenti che nel corso degli anni hanno segnato la vita di tutti i cristiani e di tutti coloro che hanno vissuto queste occupazioni e queste violenze.
Tra i racconti più duri e significativi, quello dell'occupazione nella Basilica della Natività avvenuta il 2 aprile del 2002: "un intero esercito armato arrivò con elicotteri e carri armati sino al portone della Basilica difesa strenuamente da noi, 30 frati francescani, 4 suore, due armeni e 240 palestinesi, l'assedio e la difesa durarono ben 39 giorni, giorni difficili, senza cibo o acqua, senza corrente, alcuni si sono arresi, alla fine alcuni soggetti ritenuti pericolosi sono stati allontanati. Dopo attacchi e bombardamenti, tentativi di mediazione, la porta della Basilica si riaprì il 10 di maggio, una giornata che io ricorderò sempre come la mia rinascita".
Il vicario ha poi sottolineato il ruolo importante degli operatori di pace, che sono presenti nell'area da oltre 800 anni. Il vicario ha sottolineato che oltre 2000 frati sono stati uccisi nel corso di questi decenni di violenze e che 15 di loro sono stati recentemente canonizzati dal papa Bergoglio.
"Quello che succede in Terra Santa può essere riassunto con questa frase molte persone che non si conoscono tra di loro stanno facendo una guerra, un massacro, nell'interesse di poche persone che si conoscono tra loro ma non si massacrano", ha concluso padre Faltas. Può essere certamente vero per alcuni aspetti, ma dall'altra è difficile conoscersi quando ti cacciano dalla tua terra e ti ritrovi straniero a casa tua privato persino della tua identità di persona e di popolo, è difficile conoscersi quando si costruiscono muri, si pratica l'apartheid e si continuano a costruire colonie illegali, è difficile conoscersi quando la tua vita vale meno (soprattutto per il cosiddetto Occidente) di quella di un israeliano, è difficile conoscersi quando si riconosce un dolore ma non quello dell'altro.
Cosa si può fare, dunque, per porre fine ai crimini di guerra? Per padre Faltas è cruciale farsi sentire, alzare la voce, dire basta. Questo dovrebbe essere il ruolo della comunictà cattolica. "Tutte le comunità, tutte le parrocchie, devono lavere la propria voce": e qui, Faltas ha ricordato il ruolo politico dei Papi, come per esempio quello di Giovanni Paolo II che evitò un'ulteriore escalation di violenza con una telefonata.
La vicinanza e la presenza delle figure religiose (che sono anche politiche) porta luce dove i crimini contro l'umanità portano il buio. Ciò che è emerso con forza nell'incontro di ieri è chiaro: da una parte, l'invito ai fedeli di attivarsi contro i massacri in Palestina, dall'altra l'enorme sete di conoscenza da parte della popolazione olbiese che non trova nei media (e questo lo dobbiamo dire con forza) informazione adeguata ma solo tiepida propaganda a senso unico (filosionista).
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