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Pubblicato il 16 May 2021 alle 10:10
Olbia, 10 giugno 2018- Percorrendo lo sterrato che dalla costiera di Pittulongu-Badose l'attuale località di Suiles(ben distinta dall'antica che ora vedremo) conduce al Golfo di Marinella (un’antichissima strada di cui abbiamo avuto già modo di parlare due anni orsono, leggi qui), poco prima di attaccare l’erta salita del passo di Su Donnigheddu, ed oltrepassato di poche centinaia di metri il suggestivo stazzo Sas Rujas segnante il confine fra i territori comunali di Olbia e Golfo Aranci, appare sulla sinistra il suggestivo gruppo collinare di Saccuri, dove si distinguono i due picchi di Sa Turritta e Su Donnigheddu. Ed è proprio nelle primissime pendici di questo piccolo ed incontaminato rilievo tormentato da spuntoni granitici che ricordano il piombo fuso, e le cui primissime pendici restano ancora occulte al mondo della speculazione edilizia e turistica che aggredisce la pur vicinissima linea costiera, che sorgeva un villaggio, il piccolo villaggio di “Suiles”. Sulle carte ufficiali IGMI la zona è segnata oggi come “Sa Rujas”, ma l’indicazione più antica del vasto areale che comprendeva anche la zona attuale di Binzolas (e di altre meno note che non menzionerò) era proprio Suiles, coronimo che ultimamente è traslato di non poco, sostituendo oggi prepotentemente il nome dell’area un tempo indicata come “Stazzi Casula”, il cui rudere ancora testimonia antichi e diversi modi di vivere e di denominare le località.
“Suile” è nome logudorese che sta per “porcile”, e ricalca alla perfezione il termine latino indicante il luogo dove si allevano i maiali. Suiles dunque sta per luogo dove esistevano allevamenti di maiali, un capitolo importantissimo nell’economia della Sardegna antica fino agli inizi del XX secolo ed anche oltre. Immagino che dovessero esservi molte querce ghiandifere fra queste colline e vallicole ancora nascoste al mondo, e quasi certamente ciò spiega anche la presenza di un piccolo e rozzo villaggio che occupò –parrebbe- un non lunghissimo arco di vita tra l’ultimo medioevo e la primissima età moderna.
[caption id="attachment_101002" align="aligncenter" width="2880"] Il tratto del golfo di Olbia visto dal sito del villaggio di Suiles (foto dell'autore 2018)[/caption]La notizia da fonte scritta che possediamo sul villaggio di Suiles è unica, ma estremamente precisa: 4 maggio 1647. Essa è legata alle deposizioni testimoniali di alcuni anziani, sei per la precisione, fatte nel corso di un processo fra il capitolo della cattedrale di Ampurias, ossia Castelsardo, ed il capitolo dell’allora collegiata di Tempio. Oggetto del contendere era il beneficio di Padrogiano, che il capitolo castellanese alla fine riuscì ad ottenere. In ognuna di tali deposizioni sono elencate le chiese suburbane di Olbia, e le chiese sparse in quello che allora era il territorio di Terranova. Si leggono toponimi e coronimi in uso o abbandonati, e notizie su centri demici scomparsi, su tradizioni locali ecc.
Negli atti di questo processo, custodito ancora nell’Archivio Capitolare della cattedrale di Castelsardo, leggiamo in particolare la testimonianza del vecchio terranovese Leonardo de Rosa, che alla metà del XVII secolo vedeva “nel luoco detto Suiles “….palazi alte et case disfate…assai fondamenti di Fabriche”, non sapendo tuttavia se attribuire tali importanti ruderi a “..Villa o Castello…”1
[caption id="attachment_101003" align="aligncenter" width="2880"] L'unica struttura d'incerta attribuzione relativa allo scomparso villaggio di Suiles (vedi anche foto di copertina). Foto dell'autore, aprile 2018[/caption]Se l’errata interpretazione come fortificazione data dal testimone seicentesco può legarsi alla posizione dominante del sito, ha certo più credito l’ipotesi di un villaggio, e nemmeno di piccolissime dimensioni a giudicare da quanto raccontava Leonardo de Rosa. Cosa resta oggi di tali e tanti “palazi alti et case disfate”?. Quasi nulla. Le ruspe hanno fatto un bel lavoro nello slargo naturale dove si trovano ancora rari frammenti ceramici della primissima età moderna (XV sec., ma è solo il risultato di una prima, fugace ricognizione), mentre gli unici resti di un edificio di incerta attribuzione, sono quelli che mostriamo nelle foto, restano ancora come unica sopravvivenza visibile sul suolo. Impiegano una tecnica costruttiva molto diffusa nel territorio fino a pochi decenni fa, quella appellata “petra e ludu”, pietra e fango.
Se la causa della quasi totale cancellazione delle tracce del villaggio è ascrivibile alla benna della ruspa e al riutilizzo del pietrame per farne muri a secco di recinzione, ignoriamo le cause prime dell’abbandono del villaggio di Suiles e, va detto, anche l‘origine del primo impianto, ipotesi impossibile da azzardare senza più puntuali indagini, al momento solo preliminari. Forse possono avere concorso le incursioni dei pirati barbareschi che infestarono le nostre coste a partire dal XV secolo, o qualche epidemia.
1 D. PANEDDA, I Nomi Geografici dell’Agro Olbiese, Sassari 1991, p. 608.
©Marco Agostino Amucano
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