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Pubblicato il 18 November 2023 alle 20:00
Olbia. “Lo vuoi un caffè?”. Noemi Silvestrini, 47 anni, classe ‘76 e imprenditrice agricola di Olbia dove? quasi per caso (o per cause di forza maggiore), rompe il ghiaccio così: con il classico rito dell’accoglienza italiana.
La casa è la stessa inondata due volte nel 2013 (il Ciclone Cleopatra) e nel 2015. Da allora lei non è più la stessa del pre-alluvione: è più reattiva, più arrabbiata e più delusa. “Sai che l’alluvione che mi ha scioccato di più è stata la seconda?”, dice mentre sistema le tazzine e avvia la caffettiera. “La prima era quasi inaspettata, è successo tutto molto velocemente, per la seconda è stato tutto diverso”.
Con le tazzine sul tavolo e il profumo di caffè che rassicura, Noemi Silvestrini si rannicchia sulla sedia e comincia a parlare come un fiume in piena. Esattamente come l’acqua che per ben due volte ha invaso casa sua e la tranquillità della sua vita, Silvestrini inonda di parole il piccolo soggiorno in cui esistono ancora le tracce di quegli accadimenti: sono nei quadri.
A prima vista potrebbero sembrare una tecnica pittorica, invece segnano i livelli che ha raggiunto l’acqua nel 2013 in due fasi distinte: il massimo livello a circa 2 metri e poi una successiva fase di stagnamento leggermente più bassa mentre le acque si ritiravano.
“Se mi sento al sicuro? No, per niente. Questa casa l’hanno comprata i miei genitori negli anni ottanta‘80, se avessi avuto la possibilità sarei già andata via”. La casa è in zona Baratta, in una delle vie più colpite di Olbia. Qua non si è salvato nulla nel 2013 come nel 2015 e qua, a pochi metri di distanza da qui (in via Lazio) a causa della piena provocata dal Ciclone Cleopatra, è morta Anna Ragnedda, (83 anni), mentre si trovava a letto senza possibilità di scampo.
“Apprezzo i lavori che sono stati fatti nel quartiere, ma sinceramente mi aspettavo molto di più. Sono passati 10 anni e non è stato risolto nulla. Non abbiamo un piano di mitigazione e non hanno risolto il problema della lottizzazione su Sa Fossa. Perché non la riportano allo stato originale?”.
Zona Baratta ha una genesi particolare: è uno dei quartieri più estesi di Olbia ed è in gran parte regolare, ma agli inizi del 1900 era una enorme palude. Il quartiere, dunque, sorge su una zona che, naturalmente, faceva da cassa di espansione al rio Seligheddu e ad altri piccoli rii.
Nel 1979, quasi tutta quell’area è stata allagata da una grande alluvione, ma nonostante questo è stata completamente costruita. Con il senno di poi, gran parte del quartiere non avrebbe dovuto essere edificata, ma forse - se possibile - c’è anche qualcosa di concettualmente peggiore ed è proprio Sa Fossa.
Sa Fossa è una porzione terreno che si trova stretta tra il via Val d'Aosta, via Amba Alagi, il Rio Seligheddu e l'Istituto professionale Ipia. Il toponimo è chiaro: una fossa, un buco. E questo era in effetti: un'area depressa accanto al fiume perfetta come cassa di espansione.
Fino a un certo punto della storia recente di Olbia, Sa Fossa è rimasta una zona depressa, ma a partire dagli anni '90 e gli anni 2000 è stata riempita e a un certo punto è diventata una lottizzazione.
Via Baratta e via Lazio, uno degli epicentri dell'alluvione del 2013 insieme a Isticcadeddu e via Belgio, sono a un tiro di schioppo da Sa Fossa che non è più un fosso e non funziona più come cassa di espansione. Le zone alluvionate di Olbia sono tutte un po' così.
Tutte le famiglie olbiesi, per lo meno quelle che hanno subito le due alluvioni, temono l'autunno. Temono soprattutto il protarsi dell'estate, cioè delle alte temperature. Ciò che oggi ci sembra così ovvio, però, all'epoca non lo era.
"Non avevamo consapevolezza di quello che l'acqua può fare e questa è probabilmente il motivo per cui ci sono stati tutti quei morti - aggiunge Roby Fraser (51 anni, stagionale) -. Avevamo visto pozzanghere e tombini saltati, ma eravamo del tutto all'oscuro. Addirittura quando c'erano giornate di forti piogge, uscivamo con i bambini a guardare la pioggia e il fiume".
"Il Seligheddu non è così lontano da qui, sarà un centinaio di metri - aggiunge Silvestrini -, ma dove oggi c'è via Amba Alagi, prima c'era un muro con un fossato enorme. Quando il Seligheddu arrivava all'argine, e forse usciva, era Sa Fossa a riempirsi d'acqua". Poi è stata riempita, con la terra.
Proprio quest'area è stata oggetto dell'unica opera di pseudo-mitigazione del rischio. Diciamo "pseudo" perché aiuta, ma non risolve del tutto il problema. Zona Baratta ha ricevuto una nuova rete per la raccolta di acque bianche e poi è stata dotata di un'idrovora (anzi due), sfruttando in un certo senso le canalizzazioni che erano già presenti. L'idrovora butta l'acqua piovana in eccesso direttamente nel Seligheddu e si trova accanto all'Ipia.
"L'idrovora è stata suggerita dal quartiere. L'idea c'è, sulla realizzazione avrei da ridire", aggiunge Fraser.
Il problema non è tanto il potere pompante delle due idrovore, che è strepitoso, il problema potrebbero essere le quote: la struttura è piuttosto in basso rispetto al fiume, probabilmente potrebbe servire una paratia più alta per renderla più efficace. Del resto, quando il Seligheddu va in piena diventa veramente potente.
"Il tarlo che ho io è la lottizzazione che è più alta del quartiere e io mi chiedo perché non viene riportata allo stato naturale, com'era un tempo?", precisa Silvestrini.
Quello che possiamo dire oggi, su Sa Fossa, è che domenica scorsa il canale dell'idrovora era pieno di erba e terra. Il resto dei canali risultano puliti o in via di pulizia.
Ora che sono passati 10 anni dal Ciclone Cleopatra e dalla sua devastazione, possiamo fare un bilancio.
A oggi, Olbia non è al sicuro: è un dato oggettivo. Abbiamo visto il Piano Mancini, osteggiato per le vasche di laminazione. Poi è arrivato Piano Nizzi, con il quale Nizzi ha vinto le elezioni nel 2016. Poi è arrivata la Technital che ha "confermato" il Piano Nizzi.
Poi al photo finish è stato cassato il Piano Mancini. E ancora: sono arrivati due aggiornamenti PAI, ma l'ultimo (la variante) - quella presentata nel periodo pre-elettorale del 2021 - non è ancora stata approvata dall'Autorità di Bacino.
Infine, l'ultimo colpo di teatro qualche giorno fa, al Museo Archeologico: l'ultima presentazione in pompa magna dell'ennesimo piano, questa volta con un doppio tunnel e costi raddoppiati. Magicamente, non ci sono più i problemi per i sedimenti recuperati dallo scavo del tunnel: problema che sembrava insormontabile per le vasche di laminazione del Piano Mancini e che ha portato alla sua bocciatura.
Doveva andare tutto in appalto nel giro di 6 mesi (a 6 mesi alla volta sono passati anni), a oggi attendiamo con fiducia che gli atti su questa ultima versione delle opere di mitigazione vengano resi pubblici.
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