Wednesday, 18 December 2024
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Pubblicato il 05 December 2024 alle 16:00
Olbia. Nell’ambito del festival “Tinte Fosche, autunno in noir”, Paola Barbato, celebre autrice di thriller psicologici e storica sceneggiatrice di Dylan Dog, ha incontrato il pubblico olbiese al Politecnico Argonauti per presentare il suo ultimo romanzo, La Torre d’Avorio (Neri Pozza Editore). L’evento, moderato da Salvatore Gusinu, ha permesso alla scrittrice di raccontare il processo creativo dietro un thriller che affronta il delicato tema della sindrome di Münchausen per procura, intrecciando le storie di cinque donne dal forte impatto narrativo.
Organizzato dalle associazioni Pulp, Il Politecnico Argonauti e la Libreria Ubik, il festival rappresenta uno degli appuntamenti più attesi del panorama culturale autunnale di Olbia, consolidando la città come punto di riferimento per la letteratura noir.
Al centro del romanzo si trova la sindrome di Münchausen per procura, un disturbo psicologico poco conosciuto ma ricco di sfaccettature. Barbato ha spiegato: "non è una sindrome così rara come si crede. Non porta le persone a uccidere, ma a far star male gli altri per poi curarli. Spesso si manifesta in modi subdoli, come la somministrazione di allergeni o alterazioni nell’alimentazione, rendendola difficile da diagnosticare. Di solito si scopre quando ci sono conseguenze evidenti o clamorose."
L’autrice ha rivelato come il tema l’avesse colpita da tempo: "Seguo da anni documentari su questa tematica e ogni volta che qualcosa mi incuriosisce, lo salvo. Vivo di screenshot. Quando trovo un dettaglio interessante, lo archivio, e poi lo uso quando arriva il momento giusto."
La Torre d’Avorio è frutto di un lungo lavoro di ricerca e costruzione. Barbato ha condiviso alcuni aneddoti del processo creativo, come l’ispirazione nata da due screenshot conservati a lungo: "uno riguardava un’offerta di lavoro intrigante, che ho poi integrato nel libro. L’altro, un dettaglio di cronaca che mi aveva colpito per la sua particolarità."
Secondo l’autrice, le sue storie nascono come un patchwork: "è come mettere una calamita in un recipiente pieno di metallo: tutto si attacca. Alla fine, quando trovo l’elemento aggregante, tutto si lega intorno a quell’unico nucleo. Noi autori siamo un po’ come dei ladri: rubiamo dalla vita reale, siamo calderoni pieni di dettagli. Spesso non ci rendiamo conto di cosa sia 'caduto dentro', di ciò che abbiamo ascoltato, intravisto o vissuto. "
Nel romanzo, Barbato intreccia le vite di cinque donne, ognuna con una storia e una presenza narrativa diversa, ma tutte ugualmente importanti. La scrittrice ha raccontato come ogni personaggio rappresenti una sfaccettatura di sé stessa: "c’è una di loro, Moira, che rappresenta ciò che aspiro a essere; una donna sicura di sé, capace di affermare la propria verità con tale convinzione da far dubitare chi le sta accanto. Io, al contrario, non ho mai avuto questa certezza nella mia vita. Per questo è un personaggio aspirazionale. Un'altra delle donne, Mara, è più vicina alla mia parte conservativa. Io non sono un’accumulatrice seriale, ma tendo a conservare molto, spesso anche ciò che non mi piace, come promemoria di esperienze passate. Maria Grazia, invece, riflette il mio lato che trattiene emozioni, fino a scoppiare. Beatrice, con il suo culto dei morti, incarna in parte la mia visione, benché io abbia più che altro 'il dubbio dei morti'."
Anche i nomi hanno un ruolo fondamentale: "Maria Grazia è stato scelto perché volevo un nome solido, da signora, Moira e Fiamma si sono presentati spontaneamente, mentre Mara deriva da una lettrice con un nome che trovavo bellissimo."
Barbato, parlando del suo rapporto con i lettori, chiarisce: "ho fatto una promessa a me stessa e ai miei lettori; non mentire mai. La storia deve stare in piedi. Non ci saranno mai espedienti banali come un sogno o un gemello malvagio a chiudere un mio libro. Scrivo storie vere, intense e coerenti, perché chi legge merita autenticità. Gli adulti come i ragazzi, ai quali propongo la paura senza edulcorazioni"
Questo approccio riflette l’onestà con cui Barbato si avvicina alla scrittura, considerata un’occasione unica per esplorare nuovi orizzonti narrativi senza ripetersi.
Un'autrice prolifica necessita di spazi di scrittura costanti. Ma, come ha spiegato la stessa Barbato, non sussiste una vera e propria routine: "si tende a partire molto tetragoni, pensando alla scrittura come ad una pratica che necessita di silenzio, spazi dedicati, orari. Ma io ormai non ho una routine, scrivo ogni volta che posso, durante quelle che definisco sacche di tempo; cerco di non sprecare nemmeno un'occasione. Scrivere (per generi differenti come il fumetto, la letteratura per ragazzi e il romanzo) per me è come praticare diverse discipline sportive: un corpo, ma tanti movimenti differenti. Ogni tipo di scrittura ha bisogno di un approccio unico, e io considero tutto come un allenamento continuo, dai libri ai post sui social. Mi esercito costantemente per affinare la mia voce narrativa".
Ma di cosa ha paura una scrittrice specializzata nel genere horror e noir? "Per quanto riguarda la paura, temo tutto, assolutamente tutto. È un paradosso: avendo paura di tutto, ho imparato a convivere con essa e a essere sempre pronta. Ed avere paura di tutto equivale, in qualche modo, a non avere paura di niente".
L’incontro al Politecnico Argonauti si è concluso tra applausi e domande del pubblico, confermando il successo dell’iniziativa e l’importanza di appuntamenti come "Tinte Fosche" per il panorama culturale locale. Paola Barbato ha lasciato Olbia con un segno indelebile, ispirando i presenti con il suo talento e la sua visione del noir come strumento per esplorare la complessità e le ombre dell’animo umano.
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