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Pubblicato il 02 March 2018 alle 15:35
Il castello di Molara è un piccolo presidio di soli 540 metri quadrati di superficie, costruito con blocchi granitici sommariamente squadrati ed interamente “a secco”. E’ ubicato sulla terza cima della piccola isola (Monte Castello, m 149 s.l.m.), che insieme alla maestosa, antistante isola di Tavolara, a Molarotto e ad altri piccoli scogli costituisce il cosiddetto “aggruppamento di Tavolara”, posto a chiudere da sud il Golfo di Olbia.
Oltre al castello, Molara presenta anche i resti di un “monasterio de monache”, ricordato nel 1490 dal Portolan Rizo, e che il Fara alla fine del Cinquecento secolo dirà già abbandonato. Fra i ruderi del piccolo insediamento monastico, localizzati a Cala di Chiesa, spiccano quelli di una chiesa absidata, attribuiti dalla tradizione a San Ponziano papa. Lo stile romanico della chiesa inquadra cronologicamente il complesso al periodo “pisano” del Giudicato di Gallura (XII-XIII secolo).
Il cenno al monastero femminile –ignoriamo a quale ordine appartenesse- è doveroso dacché parliamo di Molara, ma va di contro sottolineata anche la netta estraneità cronologica e topografica con la fortificazione, che abbiamo attribuito al periodo dell’Alto Medioevo, quindi precedente l’Anno Mille, allorché la Sardegna faceva parte del glorioso impero di Bisanzio, con capitale Costantinopoli.
Per la particolare situazione geografica e la non facile accessibilità, la fortezza molarese non aveva ancora conosciuto studi approfonditi che qualificassero sufficientemente le caratteristiche del sito e dell’architettura, e ne rendessero pertanto più credibili le ipotesi sulla datazione. Nel corso del tempo i vari studiosi, limitandosi a brevissimi cenni, avevano riferito la fortezza alle epoche più disparate: dall’età nuragica si era finiti al XVII secolo, col Panedda che collocava la fortificazione nel “medioevo” giudicale pieno, quindi contemporaneo al monastero: il che, come abbiamo appurato e scritto in varie sedi, non ha più ragione di essere sostenuto.
Partendo dall’analisi della topografia, dell’architettura e delle tecniche costruttive, come della toponomastica e dei fittili di superficie rinvenuti e documentati, chi scrive aveva per primo proposto una datazione del piccolo castello all’Alto Medioevo già nei primi anni Novanta suggerii questa attribuzione cronologica. Una datazione che ho successivamente ristretto alla metà del IX secolo in sede di tesi di specializzazione in archeologia medioevale, motivando la costruzione in un luogo così isolato ed apparentemente senza senso con una singolare, quanto accidentale e non per questo meno importante causa, le cui origini vanno in buona sostanza trovate fuori dalla Sardegna.
Come ci ricorda puntualmente il Liber Pontificalis, nell’agosto 846 una spedizione di pirati saraceni costituita da 73 navi, 11.000 uomini e 500 cavalli, forzò le difese di Ostia e Porto e risalì lungo il Tevere comparendo presto davanti a Roma come una nuvola di cavallette predatrici. Gli invasori non riuscirono a penetrare dentro le alte mura aureliane, ma le parti esterne alla città, San Pietro e San Paolo, furono sottoposte a saccheggio. Da San Pietro sarà asportato perfino l’altare d’oro e dalle porte saranno staccate le lamine d’argento lavorato.
Il “sacco di San Pietro” diede conferma della fragilità delle difese romane, per cui tre anni dopo, nell’849, i Saraceni si accinsero a predisporre un attacco in grande stile all’Urbe. E’ sempre il Liber Pontificalis ad informarci di una grande flotta, previamente radunata dai Saraceni nel luogo detto Torarum, in Sardegna. Da qui salpate, le navi arabe varcarono il Tirreno e si presentarono davanti alla foce del Tevere per risalirne il corso, ma ad attendere gli assalitori c’erano stavolta le flotte riunite di Amalfi, Gaeta e Napoli, che –complice una tempesta provvidenziale- annientarono la flotta nemica davanti alle acque di Ostia, in quella che fu l’anticipazione della più nota battaglia di Lepanto contro i Turchi diversi secoli dopo, nel 1571.
Si è dibattuto a lungo sull’identificazione dell’antico toponimo di Torarum, fino alla recente, definitiva soluzione, che identifica il toponimo antico con Tavolara. Questa, insieme a Molara, chiude uno specchio d’acqua protetto dai venti e nascosto alla vista (il cd. “canale di Tavolara”), ideale per lo stazionamento di una flotta. Siamo inoltre nel punto geograficamente più vicino alla costa laziale, ideale per un attacco a sorpresa.
Tutto quanto descritto, insieme agli elementi di valutazione offerti dall’evidenza archeologica, ci portato dunque a pensare per primi che il castello molarese venne costruito subito dopo questi avvenimenti, ed a causa di essi, onde cioè evitare il pericoloso riutilizzo delle insenature e del canale di Tavolara come testa di ponte per nuovi assalti a Roma.
Con una coincidenza quantomeno curiosa, è variamente provato l’intensificarsi dei rapporti tra Santa Sede e Sardegna bizantina proprio a partire dalla metà del IX secolo, quindi dopo la battaglia di Ostia. Spicca in particolare la richiesta di una milizia di sardi fatta nell’ 851 da Leone IV allo iudex Sardiniae affinché presidiasse Porto, alle foci del Tevere, contro eventuali attacchi arabi. La stessa richiesta venne fatta alla Corsica, che mandò un gruppo di soldati-coloni stanziatisi nelle campagne della stessa località laziale, in cambio di appezzamenti di terra da coltivare.
Appare pertanto ovvio supporre anche la contemporanea sollecitazione dello stesso Leone IV allo iudex Sardinae per una maggiore vigilanza sul tratto di costa olbiese usato dalla flotta saracena. D’altronde è ben nota l’energia con la quale papa Leone si attivò subito, facendo chiudere con le Mura Leonine la basilica di San Pietro ed il Vaticano, restaurando le mura aureliane della città, creando nuove mura difensive a Porto ed Ostia, facendo chiudere l’imboccatura del Tevere con catene, fondando altresì il nuovo centro fortificato di Leopoli, presso Civitavecchia, che era stata a più riprese razziata e devastata dai Saraceni.
Con ciò non si vuole certo dire che fu Leone IV il committente diretto del castello di Molara, ma solo che questo rientrerebbe benissimo nei piani di una mobilitazione di forze cristiane ed una riorganizzazione delle difese antiarabe su scala tirrenica, successiva a quello che fu uno dei momenti più critici per Roma, per il papato e per il luogo più santo della Cristianità. La responsabilità e la cura della costruzione della fortezza molarese dovettero quasi sicuramente ricadere sull’autorità locale sarda, come ovviamente il suo presidio, la cui durata non sembrerebbe essere stata troppo protratta nel tempo.
*Il presente scritto costituisce una succinta sintesi dell’articolo: M. A. AMUCANO, Indagini topografiche sulla fortificazione dell’isola di Molara (Olbia). Proposta di datazione ed ipotesi di inserimento nel quadro della strategia antiaraba successiva al “sacco di Roma” dell’846, in Quaderni di Archeologia Medievale IX (=Archeologia del paesaggio medievale. Studi in onore di Riccardo Francovich), Stella Patitucci Uggeri cur., 2007, pp. 434-453.
©Marco Agostino Amucano
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