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Pubblicato il 20 January 2019 alle 05:30
Guerre del Risorgimento italiano. Un gallurese che c’era: Agostino Bardanzellu.
Non sempre lo stereotipo del gallurese o del sardo attaccato alla propria terra, impermeabile alle idee e alle novità del continente e poco incline a muoversi, corrisponde al vero. Oggi vogliamo ricordare un uomo del XIX secolo che dalla natìa Gallura, volle partecipare in prima persona alle vicende del Risorgimento e, infine, morì a Roma, la Capitale che aveva contribuito a conquistare e a riunire alla nazione. Un uomo come tanti ma dalla mentalità straordinariamente aperta, per quell’epoca: Agostino Bardanzellu.
Nato a Luras il 26 giugno 1840 da Giovansanto e Quirica Pinna Giua, era stato battezzato con il nome di Agostino Angelo, in data 30 giugno 1840, nella Chiesa della Beata Vergine del S.S. Rosario in Luras; padrini Giovanni Maria Forteleoni (un notabile locale) e Lucia Addis (forse zia di sua madre).
Durante gli anni della sua adolescenza, la Gallura e le sue isole avevano l’onore di ospitare un personaggio d’eccezione: Giuseppe Garibaldi che già dal 1856 aveva scelto Caprera come sua nuova e definitiva residenza.
Fu forse la presenza a pochi chilometri da casa dell’Eroe dei due mondi che spinse il giovane, il 7 febbraio 1861, ad arruolarsi volontario per il servizio militare nell’esercito dell’allora Regno di Sardegna. Fu assegnato al reggimento Guide della provincia di Tempio.
Quando, il 17 marzo successivo, fu proclamato Regno d’Italia, Agostino, essendo in grado di leggere e scrivere, presentò domanda di servizio permanente effettivo. Il 10 maggio, fu ammesso a frequentare per due anni la Scuola militare di Fanteria di Modena. Fu il primo della sua famiglia a lasciare la Sardegna e ad intraprendere un viaggio che sarà durato qualche giorno, per stabilizzarsi in continente. Il 24 giugno 1863 conseguì il grado di sottotenente dell’esercito italiano, prestando solenne giuramento a Ravenna.
Erano gli anni della guerra contro il brigantaggio meridionale che impegnò direttamente circa due terzi dell’esercito italiano. Agostino fu assegnato al 55° Reggimento di Fanteria, all'epoca inquadrato nella Brigata “Umbria” ed inviato a Foggia, in un’area (la “Capitanata”) interessata dal fenomeno in modo estremamente cruente e violento. Dopo poche settimane dal suo arrivo al reparto fu proclamato lo stato di polizia nelle province meridionali del Regno, a seguito dell’approvazione della “legge Pica” (15 agosto 1863).
Non passarono pochi giorni dal suo arrivo che vi fu l’uccisione di Angelo Raffaele Viviani, detto Recchiomozzo, nei pressi di San Marco in Lamis. Poi, il 7 dicembre 1863 fu catturato il più temibile dei briganti della Capitanata, il “colonnello” Michele Caruso, il quale aveva sulla coscienza le morti di 17 soldati del 39º Reggimento Fanteria, caduti pochi mesi prima in combattimento nei pressi di Benevento, 51 tra guardie Nazionali e carabinieri, oltre a 14 civili presso Colle Sannita, 27 tra uomini, donne e fanciulli massacrati a Castelvetere in Val Fortore, 7 persone fra uomini e donne a Casci presso Morcone, 6 “campagnuoli” presso Cubante San Giorgio del Sannio e 13 contadini a colpi di rasoio nella masseria Monacelle vicino Castelnuovo della Daunia.
Possiamo solo immaginare gli effetti che ebbero tali esperienze nel carattere del giovane sottotenente gallurese che ne uscì straordinariamente indurito.
Represso nel sangue il brigantaggio meridionale, nel 1866 scoppiò la III Guerra d’Indipendenza, per la liberazione del Veneto, che Agostino combatté agli ordini del generale Diego Angioletti, nella 10a divisione di fanteria, impiegata, inizialmente, nel compito di sorvegliare la piazza di Mantova. Il 24 giugno 1866, mentre si combatteva la battaglia di Custoza, la divisione fu dirottata verso Goito, ove giunse stanchissima, con l’ordine di spingere una brigata a Marmirolo verso Mantova. Poco dopo, il comandante ricevette il contrordine di prendere posizione a Massimbona, sulla sinistra del fiume Mincio, nel timore che gli Austriaci potessero attraversarlo per occupare Goito stessa.
Le cronache di guerra riportano che, alle diciotto, la divisione si metteva in moto ma, già alle ventidue, riceveva l’ordine di retrocedere nuovamente a Goito. Nel frattempo, si stava concludendo la disastrosa battaglia di Custoza, per la quale Agostino Bardanzellu e il suo reparto non furono in grado di esercitare alcuna influenza sullo svolgimento.
A Guerra d’Indipendenza finita, l’ufficiale gallurese fu trasferito al 58° Reggimento “Abruzzi”, e poi impiegato nella Presa di Roma (1870), nell’ambito della 13a divisione, agli ordini del generale Emilio Ferrero. Il suo reparto fu il primo ad entrare a Viterbo, precedendo quello comandato da Nino Bixio.
Fu l’artiglieria della divisione del generale Ferrero a effettuare il bombardamento delle mura di Roma, tra Porta del Popolo e Porta Maggiore e ad aprire la famosa “breccia”, nella quale si infilarono per primi i bersaglieri del generale Cadorna.
Immediatamente dopo la resa delle truppe papaline, la XIII divisione occupò l'area di Roma del colle Esquilino e della Suburra, il Celio e la valle del Circo Massimo fino al Ponte Rotto.
In particolare, il reparto comandato dal generale Francesco Bessone, composto dal 57° e dal 58° Reggimento - ove prestava servizio il sottotenente Bardanzellu - alle ore 20-21 del 20 settembre 1870, aveva occupato, per bivaccarvi durante la notte, la piazza su cui affaccia il maestoso palazzo del principe Marcantonio Borghese; le cronache tramandano che il nobile romano, per ingraziarsi i vincitori, ebbe premura di invitare il comandante Bessone a passare la notte in una stanza della sua ricca dimora.
Tra il 1871 e il 1873 Agostino fu nominato aiutante di campo dello stesso generale Bessone, comandante della Brigata “Abruzzi”. Fu quindi finalmente promosso al grado di tenente (1° marzo 1873).
Fu poi decorato con la Medaglia d'argento per l’Unità d’Italia, conferita per la sua partecipazione alla III Guerra d'Indipendenza (1866) e alla presa di Roma (1870) dal Re Vittorio Emanuele II; con ulteriore Medaglia d'argento per l’Unità d’Italia conferita nel 1883 da Re Umberto I; con la Croce d'oro per i venticinque anni di carriera nell' Esercito, la Croce di Cavaliere della Corona d'Italia (1891); la Croce di Cavaliere dell’Ordine dei S.S. Maurizio e Lazzaro (1898).
Tra il dicembre 1873 e il 1877, Agostino prestò servizio al distretto di Sassari. La vicinanza con la natìa Luras e, probabilmente, le pressioni della famiglia che lo volevano vedere “accasato”, lo spinsero a fidanzarsi con una fanciulla del cui nome non è rimasta traccia. Ma non era semplice accontentare il carattere spigoloso e temprato alle cannonate, dell’ormai ultra trentacinquenne ufficiale di fanteria lurese!
I racconti di famiglia tramandano che abbia clamorosamente ripudiato la sua promessa sposa solo per averla sorpresa affacciata alla finestra. Il ripudio sarebbe stato sancito da una missiva postale contenente una banconota e la scritta: “Per il disturbo: cinque lire”.
Ad indurre il pur irruento Agostino a compiere un gesto così plateale, per la mentalità sarda dell’epoca, doveva esserci stato un motivo concreto, altrimenti le conseguenze sarebbero state molto probabilmente cruente. Nella Gallura dell’800, infatti, la promessa di matrimonio era suggellata dalla cosiddetta “cerimonia dell'abbraccio”, un rito pubblico da compiersi solennemente di fronte a parenti e amici. Enrico Costa, nel libro "Il Muto di Gallura" riporta: “L' abbraccio è sacro in Gallura, e non può essere sciolto che dalla sola fidanzata. Né sposo né genitori potrebbero violare, anche volendolo, quel rito solenne e tradizionale”[1]. Nel libro citato si narra della violazione dell’abbraccio, nel 1849, da parte di Pietro Vasa di Aggius (a pochi chilometri da Luras), che provocò una faida fra famiglie rivali durata alcuni anni e che costò più di settanta morti.
Il 22 maggio 1877 Agostino rientrò nel 58° reggimento di fanteria, probabilmente, a Milano. Il 1° agosto 1881, durante un’esercitazione a Cascina Silva di Agliè (TO), riportò una distorsione dell’articolazione del piede sinistro, a seguito di una caduta. L’anno dopo fu promosso capitano e trasferito al 43° Reggimento di fanteria “Forlì”, con sede a Tortona. Non sappiamo come abbia conosciuto la genovese Maria Bianchetti, che sposò ormai cinquantenne, il 29 novembre 1890.
Il 1° gennaio 1891, Agostino fu promosso maggiore; quindi fu trasferito, prima al 49° Reggimento “Parma”, di stanza a Torino e poi al 30° Reggimento “Pisa”, probabilmente, a Firenze. Collocato, nel 1895, in posizione di servizio ausiliario, evitò, per tale motivo, la campagna di Eritrea e la disfatta di Adua. Fu poi promosso tenente colonnello e nominato Cavaliere dell’Ordine dei S.S. Maurizio e Lazzaro (23 giugno 1898). Il 1° settembre 1898 fu collocato a riposo.
In tale periodo risiedette a Genova. Nel capoluogo ligure, infatti, Agostino ebbe un ruolo fondamentale per quanto riguarda le vicende della famiglia, avendo ospitato il nipote Battista (figlio del fratello minore Giorgio) e consentendo a quest’ultimo di attendere agli studi ginnasiali e liceali in continente, tra il 1895 e il 1904, primo tra tutti i Bardanzellu. In seguito, ospitò anche Achille, fratello minore di Battista, per il periodo del primo triennio ginnasiale (1900-1904).
Nel frattempo, il suo matrimonio si concluse con una clamorosa e rara separazione, dati i tempi. Una volta iscrittosi il nipote Battista alla facoltà di giurisprudenza dell’Università di Roma, l’anziano tenente colonnello lo seguì nella Capitale, conducendo anche il più giovane Achille. I documenti dell’Anagrafe di Roma, da cui risulta “pensionato”, comunque, ce lo indicano proveniente da Luras, in data di prima iscrizione, il 6 dicembre 1905.
L’11 marzo 1909, Agostino fu nominato colonnello nel ruolo degli ufficiali di riserva. Fu, poi, testimone di nozze di Battista con la sassarese Fermina Fenu, il 24 dicembre 1910 e firmò di proprio pugno l’atto di matrimonio. Al censimento del 1911, Agostino risulta risiedere in Roma, in Via Monserrato 24, cioè nell’abitazione di Battista, della di lui moglie Fermina e del neonato Giorgio. Il 6 giugno 1920, risulta emigrato a Nervi (GE) e poi rientrato in Roma, il giorno dopo. Motivi: sconosciuti. L’anno dopo, comunque, rimase vedovo, per la sopraggiunta morte della separata moglie Maria.
Trascorse la sua lunga vecchiaia, a Roma, in casa del nipote o chiacchierando con gli amici in Piazza Campo de’ Fiori. Nelle memorie di famiglia è ricordato da una serie di aneddoti divertenti: tutte le sere ad orario definito, puntuale come un orologio, era solito fare il giro della casa per la chiusura delle finestre; spesso, attraversando la strada insieme ad altre persone era solito volteggiare in alto il bastone come una sciabola e declamare: “Avanti!”.
Con il passar degli anni, divenne oggetto di scherzo da parte dei suoi terribili pronipoti. Aveva il vezzo di tingersi di nero i baffi e le basette: agli irrispettosi ragazzini non parve vero di allungarli la tintura con la varechina, rendendola inefficace. Così al povero vecchio non restava altro che protestare: “Questa tintura non è più buona!”
Una volta i pronipoti imbottirono un cappotto della loro madre con della carta di giornale e lo disposero su una sedia, ingannando l’anziano ufficiale, dalla vista ormai indebolita, che, scambiandolo per la nuora, alla fine, spazientito, pronunciò: “Mina mi vuoi rispondere o no?”
Lo scherzo più feroce fu quello di legare con dello spago la poltrona del vegliardo e di spostarla di nascosto quando quest’ultimo tentava di sedersi, per fargli perdere l’equilibrio.
Agostino Bardanzellu è scomparso ultranovantenne, il 27 febbraio 1931. Il referto medico del suo decesso, avvenuto nella nuova abitazione del nipote, ad Arco de’ Banchi 3, in Roma, recita: “broncopolmonite sinistra; insufficienza cardiaca; trombosi iliaca sinistra; paralisi cardiaca”.
Al suo funerale, intervenne il picchetto d’onore del Regio Esercito, tanto che si sparse la voce che fosse stato promosso maggior generale a insaputa di tutti. La promozione a titolo onorifico degli ufficiali posti in riserva è una fattispecie ricorrente, sia nell’ambito del Regio Esercito che tuttora. Il caso, peraltro, non risulta dal suo stato di servizio, nel quale è riportato ancora come colonnello.
Sulla sua lapide, al cimitero monumentale Campo Verano di Roma, è scritto: “Qui giace il Cav. Agostino Bardanzellu, Colonnello di fanteria, di anni 91, morto il 27 febbraio 1931. Con affetto, ad imperituro ricordo, i nipoti”.
©Federico Bardanzellu[1] Enrico Costa, Il Muto di Gallura, Nuoro, 1998, pag. 62.
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