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Olbia, 14 maggio 1943: il bombardamento nei ricordi di Momo Mugano

Sono trascorsi 81 anni dal primo tragico bombardamento

Olbia, 14 maggio 1943: il bombardamento nei ricordi di Momo Mugano
Olbia, 14 maggio 1943: il bombardamento nei ricordi di Momo Mugano
Patrizia Anziani

Pubblicato il 14 May 2024 alle 15:30

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Olbia.  Sono trascorsi 81 anni da quel tragico bombardamento che nel 1943, durante la Seconda Guerra Mondiale, vide Olbia sotto attacco di diversi bombardamenti aerei. Il 14 maggio di quell’anno, alla vigilia della Festa manna di San Simplicio, patrono di Olbia, della Gallura e della Diocesi di Tempio Ampurias, cinquantaquattro bombardieri B-25, scortati da ottanta P-38, sganciarono 333 bombe da 500 libbre sulla città. I principali obiettivi furono il “Porto Vecchio”, la ferrovia e l'attuale palazzo municipale.  Sebbene molte persone avessero preventivamente abbandonato l’abitato per rifugiarsi altrove, anche la città di Olbia vide la tragica devastazione della città con la morte di ventidue civili, tra cui numerosi lavoratori della Compagnia portuale " Filippo Corridoni". 

 

Oggi, in ricordo di Settimo Mugano, nostro amico e collaboratore di Olbiachefu, recentemente scomparso all'età di 93 anni (leggi qui l'articolo), vogliamo riproporre ai nostri lettori la sua testimonianza scritta in occasione dell'evento "Olbia sotto le bombe, lezione in cammino per non dimenticare", organizzato nel 2017 dall'Associazione culturale Larathanos. Momo accompagnò le sue righe con un ringraziamento al dottor Amucano presidente dell'associazione:

"Marco Agostino Amucano io non sarò presente quando, durante la manifestazione da te così generosamente creata, per ricordare e onorare gli olbiesi caduti in quel drammatico 14 maggio 1943, la tromba suonerà il “Silenzio”. Ci sarò, però, col pensiero ringraziandoti di aver portato alla memoria delle nuove generazioni la pagina triste e storica del passato che la nostra città ha vissuta con grande coraggio e dignità".

 

14 Maggio 1943 la testimonianza di Settimo Mugano del  bombardamento sulla città di  Olbia.

È stato grazie all'invito della famiglia Rasenti, sfollata a Padru, se non ho vissuto in prima persona il primo e tragico bombardamento di Olbia il 14 maggio del 1943.

In principio furono gli scoppi sordi delle bombe su sulla città e il bagliore dei lontani lampi di luce ad attirare l’attenzione di tutti ma quando quei bagliori e quegli scoppi si fecero più intensi capimmo quanto stava accadendo. Furono in molti a gridare:” Stanno bombardando Olbia"e la notizia fece in un baleno il giro del piccolo paese che sembrava, malgrado tutto, lontano da ogni pericolo e sicuro dalle incursioni grazie alla protezione dalla sua ricca vegetazione.

Furono per tutti attimi di intensa paura e di disperazione specialmente tra gli sfollati che avevano scelto Padru per sentirsi al sicuro. ma avevano lasciato i parenti in città convinti che la guerra non sarebbe arrivata così vicino a noi, anche se il porto di Olbia, come quello di Civitavecchia, che fu bombardata per la prima volta nello stesso giorno, rappresentava un obiettivo militare.

Il pensiero che i miei genitori, mia sorella Clara e mio fratello Ottavio potevano restare vittime di quel bombardamento, mi fece prendere una immediata decisione: " Voglio tornare a Olbia, Zio Peppino voglio tornare ad Olbia”. Zio Peppino e Zia Marietta fecero di tutto per trattenermi, non soltanto perché ritenevano che anche l’aeroporto di Vena Fiorita fosse stato bombardato, ma anche perché, secondo loro, non c’era alcun mezzo che mi permettesse di arrivare ad Olbia. Io non mi persi d’animo e quel mezzo lo trovai. Era di stanza a Padru un comando militare che con i loro camion aveva continui contatti con Olbia. Molti di quei camion cominciarono a dirigersi verso Olbia ed io con il coraggio e l’incoscienza dell’età ne approfittai subito salendo di nascosto sul cassone di uno di quei mezzi.

Quando arrivai ad Olbia il bombardamento era appena finito. La nostra casa, in fondo a via Regina Elena, non sembrava aver subito danni, la porta però era spalancata a causa del violento spostamento dell’aria provocato da una bomba che cadendo a poche decine di metri, aveva aperto una voragine proprio all’inizio del quartiere dei pescatori chiamato Sa Rughe avendo preso il nome dalla Croce eretta nel cortile di zia Ninalda all’angolo di Via Regina Elena con Via Roma, tuttora ben visibile. Entrai, con la speranza di trovare i miei genitori e i miei fratelli. La casa era vuota, però al centro della stanza a piano terra, c’era un grosso masso che aveva sfondato il tetto e il pavimento della camera del secondo piano. Mi tirai la porta alle spalle senza sapere cosa fare, mentre, la strada cominciava a riempirsi di gente che gridava o piangeva correndo verso piazza Regina Margherita dove, alcuni uomini che scendevano verso via Roma, dicevano che le bombe avevano distrutto il mercato e le case vicine facendo molte vittime. Corsi anch’io verso Piazza Regina Margherita con la speranza di trovare mio padre, mia madre e i miei due fratelli e spingendomi da una strada all’altra fui testimone del crollo di parte del palazzo comunale, dove si erano rifugiati molti portuali assieme agli operatori del porto convinti che le strutture del Municipio potessero resistere alle bombe. Invece seppi che numerose erano le vittime in quella zona presa di mira per le navi e le imbarcazioni del Porto Vecchio e dell’Isola Bianca, evidentemente l’obiettivo principale del bombardamento.

Fu colpito naturalmente anche il centro della città che fece crescere il numero della vittime con la distruzione del mercato centrale, situato nella stessa zona dove è poi nata la piazza Matteotti. Venne colpito l’adiacente palazzo della famiglia Careddu, che causò la morte dei genitori di mio padrino Giorgio Careddu e venne ridotto in macerie, causando altre vittime, il palazzo dei Degortes di via Cavour, dei Dessena di via Garibaldi e dei Mossa e Putzu in via Sassari.

Vidi le macerie del mercato e quelle del palazzo dei Careddu, dei Mossa e dei Putzu dove, dalle informazioni che la gente lì attorno si scambiava, appresi che una parte della città era stata quasi distrutta. Ebbi il coraggio della disperazione e continuai la ricerca della mia famiglia strada per strada chiedendo alle persone che incontravo se avevano visto zio Salvatore Mugano con la moglie e i due figli. Poi, stanco e non sapendo più dove continuare le mie ricerche si accese in me la speranza che i miei genitori, Clara e Ottavio, scampati al bombardamento, fossero tornati a casa. Raggiunsi piazza Regina Margherita e scesi verso via Regina Elena e, improvvisamente, all’altezza del Casermone li vidi tutti e quattro in piedi sulla porta di casa. Corsi piangendo verso di loro per essere quasi subito rimproverato da mio padre che, essendo sicuro della mia assenza da Olbia, non aveva certo potuto immaginare che io fossi invece tornato a casa mentre su Olbia cadevano le bombe. Avevo solo tredici anni ma quelle terribili immagini e i ricordi di quella tristissima giornata me li sono portati dentro per tutta la vita, compresa la vendetta che volli prendermi nei confronti dei soldati americani che, in colonna, percorsero per raggiungere il centro di Olbia via Vittorio Veneto. Io, come molti olbiesi, ero lungo il marciapiede del negozio di generi alimentari di Zio Peppe Secchi e assistevo, quasi con rabbia alla sfilata dei “ vincitori” che, dalle loro camionette gettavano verso di noi pacchetti di sigarette e tavolette di cioccolata. Ricordo anche oggi con grandissimo piacere, che nessuno dei presenti vicino a me si chinò a raccogliere quegli omaggi indesiderati ma, invece, molti li rifiutarono ricacciandoli a calci verso le camionette.

Settimo Mugano