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Enrico Carlo Pani, il carabiniere sardo che ebbe un appuntamento con la Grande Storia

Oggi 4 agosto ricorrono gli 80 anni dalla sua morte.

Enrico Carlo Pani, il carabiniere sardo che ebbe un appuntamento con la Grande Storia
Enrico Carlo Pani, il carabiniere sardo che ebbe un appuntamento con la Grande Storia
Federico Bardanzellu

Pubblicato il 04 August 2024 alle 09:50

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Roma. Esattamente 80 anni fa, il 4 agosto 1943, veniva meno un sardo dimenticato, il Capitano dei carabinieri Reali Enrico Carlo Pani. Poco più di un anno prima, la sua esistenza era stata trascinata nel vortice della “Grande Storia”. Fu infatti lui, esattamente il 25 luglio 1943, intorno alle ore 6:00 del pomeriggio, che formalizzò ufficialmente lo stato d’arresto di Benito Mussolini.

Il deposto Capo del Governo era stato preso in consegna dai Capitani dei Carabinieri Raffaele Aversa e Paolo Vigneri, appena uscito da Villa Savoia, dopo il colloquio con il re, che lo aveva costretto alle dimissioni. I due lo avevano condotto all’interno di un’autoambulanza, insieme al suo segretario Nicola De Cesare su ordine del Tenente Colonnello dei Carabinieri Giovanni Frignani. La motivazione ufficiale dell’operazione era “per motivi di sicurezza”. Poi l’autoambulanza si era diretta a tutta velocità per le strade della capitale.

Quella domenica 25 luglio 1943, l’ufficiale cagliaritano Enrico Carlo Pani era atteso dal cugino Giacomo, in Viale della Piramide Cestia, per festeggiare insieme il compleanno e l’onomastico di quest’ultimo. In casa era già arrivata sua moglie Maria Zuddas, con la ventenne figlia Enrica. La famiglia del padrone di casa era formata dall’altra cugina Luigia Pani, moglie di Giacomo e dai loro figli: il diciottenne Franco, Maria Gilda di pochi mesi e il piccolo Corrado Pani, di sette anni. Sì, proprio il famoso attore di teatro e di cinema, per alcuni anni compagno della cantante Mina e padre di Massimiliano Pani, compositore e produttore discografico. Il capitano dei Carabinieri Reali, essendo ufficiale di picchetto presso la caserma Podgora, tardava.

La caserma dei Carabinieri ove prestava servizio il capitano Pani occupa ancor oggi un grande complesso nel rione Trastevere, delimitato a sud dalla via Garibaldi, a ovest e a nord dall’orto botanico e a est da via Corsini, via della Lungara e via di Porta Settimiana.

Nel pomeriggio, intorno alle sei e mezzo, l’autoambulanza contenente Mussolini e De Cesare si presentò all’ingresso della caserma. Era probabilmente quello esistente in largo Cristina di Svezia, ancor oggi definito come l'ingresso storico, riportando la scritta "Caserma Podgora".

L’automezzo si fermò nel cortile, facendo scendere i passeggeri. Mussolini, con al fianco il Capitano Vigneri scese per ultimo e chiese subito: «È una caserma dei carabinieri questa?».

Vigneri rispose affermativamente. Poi vedendo che il comandante della Podgora, del tutto ignaro di quanto accaduto, si era messo sull’attenti, gli chiese di aprire l’ingresso del circolo ufficiali, perché «il Duce è nostro ospite». Quindi accompagnò i due passeggeri per farli accomodare.

Successivamente rivelò in disparte ai colleghi della Podgora – Pani compreso - il motivo dell’inaspettata «visita». Fu allora che il Capitano Pani provvide ad identificare i due civili, formalizzandone l’arresto. A questo punto Mussolini e De Cesare compresero ciò che era realmente avvenuto e si scambiarono alcune parole sottovoce.

De Cesare pose una domanda al Capitano Vigneri: «E se il Duce volesse andar via?»

La risposta fu netta e perentoria: «Non può andar via».

«E se volesse telefonare?»

«Non può telefonare».

De Cesare assunse allora un tono risentito ed esclamò: «Lei come definisce ciò?».

Vigneri per nulla intimorito, rispose: «Eccellenza, io eseguo gli ordini ricevuti e non sta a me dar definizioni».

Immediatamente si dispose di tagliare i fili del telefono che si trovava sul tavolo della sala del circolo ufficiali della Podgora.

Mussolini vi rimase più o meno un’ora. Poi i militari, per ragioni di sicurezza, convennero che fosse meglio trasferire i due prigionieri presso la Caserma della legione allievi Carabinieri in via Legnano (oggi Via Carlo Alberto Della Chiesa). In breve tempo, alle sette di sera, l’autoambulanza ripartì.

Solo allora il Capitano Pani ritenne di contattare telefonicamente la moglie e il cugino. Ma, sapendo che la Polizia segreta fascista già da tempo intercettava le telefonate sensibili, comunicò in sardo. Pani aveva ragione, se si pensa che la Polizia fascista aveva sotto controllo anche le telefonate personali del duce con la sua amante Claretta Petacci, di cui sono ancora conservate le registrazioni.

Quando il cugino Giacomo si rese conto che il Capitano Enrico Carlo stava parlando in sardo, si mise a parlarlo anche lui: “Oh Carletto, puitta no benis?”

“Anti vostu a intru su meri mannu!" (Hanno messo dentro il grande Capo!)

“Chini? Su mannu mannu?” (Chi? Il grande grande?)

“Eja, eja, su prus mannu!” (Sì, sì, il più grande!).

Questo dialogo è riportato su Facebook dal nipote Giovanni Giacomo Pani, che ringraziamo. Così come ringraziamo l’intera famiglia Pani per le foto surriportate, tratte dalla loro pagina facebook “Sa domu de is Pani” (clicca qui).

Poco più di un mese dopo, il 3 settembre 1943, a Cassibile, fu firmato l’armistizio tra il Regno d’Italia e le potenze alleate. L’evento fu reso noto nel tardo pomeriggio dell’8 settembre, scatenando la reazione tedesca, il cui esercito era già presente nel territorio italiano.

Roma si arrese il 10 ottobre, a patto di essere considerata “Città aperta”, cioè libera da truppe di occupazione e con la rinuncia all’impiego delle armi da parte dei militari italiani se non per motivi di ordine pubblico. Il re e il governo Badoglio, nel frattempo erano già fuggiti per Ortona (CH), alla volta di Brindisi, dove si insediarono lasciando il paese allo sbando. Il capitano Pani rimase in servizio presso la caserma Podgora.

Il 7 ottobre 1943, di primo mattino, contravvenendo gli accordi firmati, i paracadutisti tedeschi e le SS circondarono le principali caserme dell’Arma nella Capitale, bloccandone all’interno i Carabinieri. Costoro, ignari, attendevano alle loro occupazioni quotidiane, senza l’immediata disponibilità delle armi in base agli accordi di cui sopra. Tra questi il capitano Pani che fu arrestato insieme ad altri 2.000 Carabinieri circa. Il numero degli arrestati, tuttavia, non si è mai saputo con esattezza essendo stata bruciata dai tedeschi tutta la documentazione in proposito.

Il giorno dopo, i militari trattenuti furono condotti alle stazioni ferroviarie Ostiense e Trastevere e fatti salire su treni merci diretti al Nord. Era stata diffusa la falsa notizia - fatta circolare ad arte per tranquillizzarli - che sarebbero scesi a Fidenza per essere impiegati nel Nord Italia nella neo-costituita Repubblica Sociale Italiana, di cui l’ex duce era stato proclamato Presidente. Una tranquillità relativa, essendo allora tutti gli appartenenti all’Arma “nei secoli fedeli” al loro giuramento al Re. Pani, poi, Mussolini lo aveva addirittura arrestato.

 Infatti tutti i Carabinieri catturati furono immediatamente deportati nei campi di lavoro o di prigionia in Austria, in Germania o in Polonia. Oltre 600 non tornarono più. Gli altri – tra i quali il capitano Pani - riuscirono a fare ritorno dopo un periodo di fatiche, sofferenze e stenti lungo fino a due anni.

Il protagonista di questa vicenda fu avviato nel campo di concentramento di Buchenwald dove trascorse 10 mesi di prigionia. Malato di tubercolosi, fu poi rimpatriato grazie alla Croce Rossa. Il 4 agosto 1944 – 80 anni fa, appunto - è morto all'Ospedale Forlanini di Roma. Aveva solo quarantacinque anni.

Il Capitano Vigneri, invece, riuscì a fuggire da Roma e ad unirsi ai primi partigiani. Il Capitano Aversa e il Tenente Colonnello Frignani si rifugiarono in clandestinità per alcuni mesi. Furono arrestati dai nazisti solo il 22 gennaio 1944. Dopo altri due mesi di prigionia furono uccisi il 24 marzo 1944, con altri 333 militari e civili, nel tragico eccidio delle Fosse Ardeatine. Entrambi furono decorati di Medaglia d'Oro al Valor Militare, alla memoria.

Nessuna onorificenza, invece, né per Vigneri e nemmeno per il Capitano cagliaritano Enrico Carlo Pani. Solo una “pietra d’inciampo”, sull’asfalto romano, ricorda genericamente il sacrificio dei 2000 carabinieri deportati: “Da qui furono deportati, il 7 ottobre 1943, 2000 carabinieri nei campi in Germania, Austria e Polonia. Alcuni furono uccisi, molti morirono di fame, malattia e maltrattamenti”.