Monday, 23 September 2024

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Olbia sulla nostra barca "Giustina"- racconto di Salvatore Careddu

Una quattro remi come tante nel mare della mia Olbia ci attendeva cullata dalle onde

Olbia sulla nostra barca
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Pubblicato il 22 September 2024 alle 17:32

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Olbia. Era una calda sera d’estate quando mio padre, con un sorriso complice, annunciò: "Domani all'alba, io, Salvatore e tua madre salperemo con la Giustina. Costeggeremo il Lido del Sole fino al faro e al ritorno esploreremo gli anfratti di Cala Saccaia."

Quella notte, avevo dieci anni, non avevo dormito tanto ero emozionato. Era la mia prima vera avventura in mare e papà mi aveva persino promesso di farmi remare! Ricordo di essermi alzato innumerevoli volte, l'eccitazione mi spingeva fuori dal letto più della vescica piena.

All'alba ero già sveglio e vestito e quando lui entrò nella camera con la mamma mi sorrise orgoglioso. Mentre ci incamminavamo verso il porto gli occhi di papà brillavano.

La Giustina, una quattro remi come tante nel mare della mia Olbia, ci attendeva cullata dalle onde gentili del primo mattino. Mentre il velo della notte si dissolveva lentamente, quasi sbadigliando dalle colline che cingono il porto, la barca cominciò a scivolare sull'acqua con i colpi di remi impressi con ritmo regolare da mio padre.

Il mondo intorno a noi si trasformava rivelando in quel silenzioso risveglio la bellezza mozzafiato di quell'alba su Olbia. Le colline che abbracciano il golfo emergevano dalla foschia, come giganti assonnati che si stiracchiavano al sole nascente.

Io e la mamma eravamo seduti al centro della barca Giustina. La prua fendeva le onde con grazia, lasciando dietro di sé una scia spumeggiante che raccontava la nostra storia al mare. Era come una danza delle losanghe. Con la sua misteriosa bellezza, con la dinamica e l'ottica degli spruzzi, delle spume, dei riflessi delle gocciole, come quando il remo si tuffa, quando si scava nel flutto, una via, quando ne esce, si incanta, precipita, così come una legge estetica, idraulica, e cronometrica, e fotometrica.

 

All'improvviso, una raffica più forte gonfiò il mare. La nostra piccola imbarcazione iniziò a ballare, ora di fianco, ora beccheggiando. In quel momento, il suono del mare divenne più vivido: lo sciacquio contro i fianchi della barca, il fruscio della prua che tagliava le onde, il sibilo del vento che ci avvolgeva. Vidi mia madre turbata immergere il rosario in acqua per placare le onde.

Mio padre, con la calma e la perizia acquisite nei suoi tre anni sul transatlantico "Regina d'Italia", manovrava tranquillo e con sicurezza la barca. Le sue mani esperte ci guidavano attraverso le onde, mostrandomi cosa significasse essere un vero uomo di mare. Ogni gesto seguiva una precisa coreografia, un'armonia di forze naturali e umane. Mi sentivo parte di qualcosa di magico. Capii allora che la poesia non era solo nelle parole, ma anche nel silenzio del mare all'alba, nel sussurro del vento, nel canto sommesso delle onde contro lo scafo.

Sono state tre ore sulla “Giustina”. Tre ore che non ho mai dimenticato.  Senza il rombo di un motore, immerso solo nei suoni della natura, compresi già da allora la vera essenza della vita sul mare. E oggi penso a mio padre e a tutti gli anziani marinai che avevano solcato quelle acque prima di noi, guidati dal sole, dalle stelle e dal vento.

Mentre tornavamo a riva, il cuore gonfio di emozioni e gli occhi pieni di meraviglia, sapevo che avevo vissuto qualcosa di straordinario. Quelle tre ore sul meraviglioso golfo di Olbia rimarranno per sempre impresse nella mia memoria, un tesoro prezioso del mio legame con il mare e con la mia Olbia.

Salvatore Careddu

Si ringrazia Luigi Sanna per la foto di copertina (leggi qui).