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Olbia e gli olbiesi dal punto di vista dell’ex vicesindaco Giorgio Bardanzellu

Ricordi, aneddoti e "frecciatine" da parte del 92enne di Olbia

Olbia e gli olbiesi dal punto di vista dell’ex vicesindaco Giorgio Bardanzellu
Olbia e gli olbiesi dal punto di vista dell’ex vicesindaco Giorgio Bardanzellu
Federico Bardanzellu

Pubblicato il 20 October 2024 alle 19:30

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Olbia. Giorgio Bardanzellu compirà 92 anni il mese prossimo. È stato un personaggio che ha vissuto e ha osservato la città di Olbia da più punti di vista. È stato studente, professore, uomo politico, padre, nonno e bisnonno. Lo incontriamo nella sua attuale residenza in una traversa laterale di Viale Aldo Moro e non ci lasciamo sfuggire l’occasione di intervistarlo.
Cominciamo chiedendogli dell’ambiente familiare e della casa dove è nato. «Sono nato il 7 novembre 1932 – ci risponde - in una palazzina che esiste ancora, posta in una piazzetta all’angolo tra le attuali Via Napoli e Via San Giovanni (foto 3). Allora, davanti al villino parcheggiavano le carrozze. Ora l’abitazione è adibita a studio professionale di mio figlio Giovanni e di sua moglie Simona. Ho abitato lì anche dopo il matrimonio. Nel 1963 ci siamo trasferiti nella casa oggi al numero 64 di Corso Umberto I. Si tratta di un palazzetto che fu costruito dal mio bisnonno materno Battista Tamponi, farmacista. Fu lui, intorno al 1870, ad aprirvi al pian terreno la prima farmacia di Terranova Pausania. Nella palazzina si erano resi liberi dei locali per la morte delle mie zie Ninetta e Lucietta. La prima aveva gestito l’antica farmacia Tamponi subentrando alla madre e al nonno; la seconda era stata direttrice dell’ufficio postale, anch’esso al piano terra, dove oggi c’è un ristorante alla moda. Rimanemmo lì sino al 1971, poi ci
siamo trasferiti in Viale Aldo Moro».

Ci parli della sua famiglia di origine: genitori, fratelli, altri occupanti della casa di Corso Umberto.

«Eravamo quattro fratelli. Purtroppo l’ultimogenito Giuseppe ci ha lasciato a soli trentuno anni, per un disgraziato incidente stradale. Al primo piano della casa di Corso Umberto c’era lo studio medico di mio
padre Achille, che però negli anni sessanta non esercitava più, essendo ormai anziano e rimasto invalido alle mani. Vi abitavano ancora, però, due personaggi molto simpatici, il vedovo di mia zia Lucietta, Antonino
Leoni e il cugino di mio padre, Battista Mossa. Antonino Leoni era già stato sposato e con una figlia (all’epoca ancora piccola) prima di sposare mia zia Lucietta che era addirittura una sua cugina di primo
grado. Non era raro, in quei tempi. Burbero e imponente, zio Antonino faceva l’usciere nell’ufficio postale diretto dalla moglie, che penso sia stata la prima direttrice donna di ufficio postale sicuramente della Sardegna ma, forse, di tutta Italia. Essendo il marito della direttrice trattava gli impiegati a muso duro, pur essendo formalmente un loro sottoposto».

«Battista Mossa, invece – che era figlio di Barbarina Tamponi, sorella di mia nonna Marietta – aveva combattuto nelle trincee della Prima Guerra Mondiale. Era solito offrirsi a pagamento per sostituire quei soldati terrorizzati che venivano sorteggiati per spalmare di gelatina esplosiva il filo spinato delle trincee austriache. Poi fu mandato a combattere in Africa e, quando tornò a Olbia, era diventato nero come un tizzone, tanto che al bar fu scambiato per un soldato ascaro. Purtroppo per lui non riuscì più ad abituarsi al clima temperato di Olbia ed aveva sempre freddo. Tanto che il burbero zio Antonino era solito prenderlo in giro: “Battista, oggi c’è il sole, mettiti il cappotto!”».

Giorgio, lei che studi ha fatto?

«Da bambino ho frequentato le scuole elementari pubbliche di Terranova Pausania. Poi, a nove anni e mezzo, mi hanno mandato all’Istituto salesiano Sant’Eusebio di Lanusei. Qui sono “mezzo” scappato ma poi mi hanno ripreso e riportato a casa. Tra il 1943 e il 1947 ho frequentato il ginnasio del Collegio Carta-Meloni di Santu Lussurgiu, poi il liceo nella scuola pubblica di Ozieri. Infine mi sono iscritto all’Università di Sassari, alla facoltà di Giurisprudenza».

Come è cambiata la scuola? Ci faccia un paragone tra i tempi in cui lei è andato a scuola, la scuola come era quando lei insegnava, e la scuola di oggi che hanno frequentato i suoi figli e nipoti.

«Beh, per me la disciplina dei Salesiani di Lanusei fu uno shock: guai a chi fiatava! Una volta mentre andavamo in fila per la ricreazione scambiai sottovoce qualche parola con un compagno e fui punito con la privazione della visione del cinema. Un alunno poteva essere punito anche se per distrazione gli cadeva in terra il vocabolario. Adesso c’è molta più “liberalità” rispetto ai tempi in cui andavo a scuola io».

Cosa ricorda della Guerra?

«Quando vi fu il bombardamento su Olbia del 14 maggio 1943, noi eravamo in campagna a Tralana, presso Luogosanto. Dalla campagna, però, abbiamo potuto vedere bene gli aerei che sganciavano tonnellate di bombe. Ma le incursioni aeree sono continuate. Qualche settimana dopo ci siamo trasferiti a Cabu Abbas, sempre in campagna. Di lì vedemmo perfettamente l’abbattimento di un aereo americano da una postazione di contraerea italiana allestita sopra il pozzo sacro Sa Testa. L’aereo cadde nella campagna tra Arzachena e Cannigione. Il pilota si salvò ma fu fatto prigioniero dai pastori con i fucili. Poi, noi siamo nuovamente sfollati ad Alà dei Sardi».

Nel periodo della sua carriera didattica che cosa ha insegnato?
«Sono stato insegnante di storia e filosofia al liceo classico di Ozieri, poi grazie a un concorso a punti ebbi l’incarico di insegnante di italiano e storia all’istituto tecnico agrario di Olbia e all’istituto professionale. In quegli anni c’era già più libertà. C’era l’intervallo alle 11.30 per la ricreazione e gli alunni erano più liberi. Negli anni Sessanta sono passato di ruolo e infine sono andato in pensione a 52-53 anni».

Veniamo ora alla famiglia che si è formato. Ci parli di sua moglie e dei figli.

«Ho conosciuto mia moglie Silvana Merlini (foto 8) – che purtroppo da alcuni anni non c’è più – quando eravamo entrambi studenti e frequentavamo il liceo di Ozieri. Ci siamo fidanzati alcuni anni dopo quando
insegnavamo alla stessa scuola. Ritenemmo opportuno però di non far conoscere ai colleghi insegnanti la nostra relazione. Questo è un altro indizio della maggior compostezza dell’ambiente scolastico di tanti anni
fa. Abbiamo avuto quattro figli (Foto 7): la farmacista Maria Grazia, gli avvocati Giovanni e Marina Francesca e l’ultimogenito Achille, noto “Chicco”, dipendente della GEASAR. Ho avuto otto nipoti e due
bisnipoti (Foto 10). Spero di diventare trisnonno. Nell’educazione non credo che ci sia stata molta differenza tra quella imposta dai miei genitori e quella che abbiamo dato ai nostri figli mia moglie ed io».

 

Come passa le giornate a 92 anni?
Adesso la sera praticamente non esco. Mi vedo a volte con alcuni amici a un bar vicino casa ma nulla di più.

Lei si è dedicato anche alla politica cittadina. È stato eletto consigliere comunale nelle liste del Partito repubblicano alle elezioni del giugno 1970, poi Assessore all’edilizia con incarico di vice sindaco nella giunta
a guida socialista del Sindaco Giuseppe Sotgiu (1870-1972). Presumo che questa sua “vocazione” le sia derivata da suo padre e da suo zio Battista Bardanzellu, anch’essi repubblicani, il secondo facente parte perdieci anni della direzione nazionale del partito.

«Beh sì. Nella mia famiglia paterna eravamo tutti “mazziniani” e comunque di ideologia laica. Nella Terranova di fine ‘800 e di inizio ‘900 le famiglie Sotgiu e Bardanzellu erano molto amiche e, insieme al sindacato dei portuali di Alessandro Nanni, rappresentavano la componente “radicalsocialista” e repubblicana della città. Pensi che la nascita di Antonio Sotgiu, futuro sindaco (1906-1909), fu denunciata all’anagrafe di Terranova da mio nonno Giorgio Bardanzellu. Sia Sotgiu che mio padre Achille furono poi costretti a ingerire l’olio di ricino dai fascisti nel 1922.

Nel 1970 Giuseppe Sotgiu, figlio di Antonio, fu eletto a sua volta sindaco ed io consigliere comunale. Conoscendomi e stimandomi, Giuseppe Sotgiu mi attribuì la delega all’Edilizia e la carica di Vicesindaco. Purtroppo, Giuseppe era un affermato avvocato del Foro di Roma ed era spesso assente per impegni professionali. Così ho dovuto sobbarcarmi per lunghi periodi il
carico e la responsabilità dell’amministrazione. Ben presto, approfittando di ciò, molti politici e “galoppini” di partito hanno tentato (senza successo) di coinvolgermi in affari poco chiari. Per questo dopo due anni ho
preferito dimettermi da Assessore. Sono rimasto comunque in Consiglio sino a quando, nel 1975, si concluse la consiliatura. Il partito mi chiese poi di ripresentarmi come “candidato di bandiera” alle successive elezioni ma, praticamente non feci campagna elettorale e non fui rieletto».

Cos’è rimasto ad Olbia e in Italia del laicismo e della proverbiale onestà dei repubblicani? Pensa che ci sia bisogno ancora di un po’ di “mazzinianesimo”?

«Ma, caro mio, stiamo parlando di gente come Ugo La Malfa, Oronzo Reale, Bruno Visentini! Ma dove la vede oggi gente con quella competenza e integrità personale? Non dico altro per non farmi querelare!». Un fratello di sua madre, Carlo Putzu (Foto 9), è stato anch’egli sindaco nell’immediato dopoguerra, ci parli anche di lui, sotto il profilo politico e umano. «Zio Carlo, che però era democristiano, fu il primo Sindaco eletto di Olbia dopo l’avvento della Repubblica. Si è però trovato, venticinque anni prima, nella stessa situazione in cui mi sono trovato io. Anziché farsi coinvolgere nella “melma” della politica, ha preferito dimettersi da Sindaco dopo solo due anni, pur rimanendo consigliere sino al 1952».

Come giudica la Olbia di oggi, sotto il profilo politico amministrativo?

«Io auspico che nell’amministrazione odierna di Olbia ci sia più onestà rispetto al passato ma, per quanto riguarda gli ideali, oggi non si sa nemmeno a quale partito i politici appartengano! Ma, forse, è anche meglio così».

Come vede i giovani olbiesi di oggi? Sono più spensierati o più responsabili o addirittura più determinati di quelli della sua generazione e di quella dei suoi figli?

«Oggi, praticamente, i ragazzi (e le ragazze) fanno quello che gli pare. Il fatto è che sembrano tutti vittime di uno sbandamento collettivo e non sanno né cosa vogliono e nemmeno ciò che fanno. Non parliamo poi di formazione culturale: alle superiori sono tutti ignoranti. Pochi si iscrivono all’università e solo una minoranza si laurea».

Un grazie all’ex vice-sindaco per quest’appassionata e “pungente” intervista che ci ha concesso.

 

©Federico Bardanzellu

Le foto n. 1, 2, 3, 5, 6, 9 e 10 fanno parte dell’archivio personale di Achille “Chicco” Bardanzellu che ringraziamo. Le foto 4, 7 e 8 fanno parte dell’archivio personale dell’autore.