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Pubblicato il 17 June 2018 alle 07:28
Monsignor Francesco Cimino (Castelsardo 1889 - Olbia 1980).
Con l’ultimo mio articolo dedicato all’olbiese Andrea Degortes (l'Aceto Re del Palio di Siena) e pubblicato nella rubrica “Olbiachefu" del giornale on line Olbia.it., pensavo di ave esaurito il mio gradevolissimo compito di celebrare vita, gesta e storia di alcuni olbiesi che hanno influenzato la mia gioventù e il ricordo dei quali fa ancora parte dei lunghissimi anni del mio “esilio” romano. È bastata, però, una telefonata di Patrizia Anziani, alla quale è affidata la rubrica, per solleticare la mia vanità e farmi tornare alla tastiera del computer con il compito di ricordare e rivivere alcuni degli episodi che hanno avuto come personaggio principale l’indimenticabile Monsignor Francesco Cimino, per cinquant' anni Parroco della chiesa di San Paolo.
Di monsignor Cimino ha scritto con maggiore competenza il suo allievo don Giuseppe Delogu nel suo libro"Monsignor Cimino un prete, un uomo” ricordandolo agli olbiesi nel trentesimo anniversario della sua morte e lo ha affettuosamente commemorato Tore Mibelli nel corso della messa celebrata dalVescovo Sebastiano Sanguinetti, alla presenza della centenaria Michelina Cimino, scomparsa lo scorso dicembre,che al fratello Parroco ha dedicato tutta la sua vita.
In questo mio ricordo Monsignor Cimino, come gli olbiesi lo hanno sempre chiamato, ignorando di usare il suo nome, è quasi del tutto personale, legato a periodi, incontri ed episodi che fanno parte della mia vita.
Il primo incontro con Monsignor Cimino, arrivato a Olbia da Castelsardo nel 1926,l’ho avuto, senza poterne conservare memoria, a due giorni della mia nascita nella mia prima casa del quartiere antico di Terranova Pausania. Io settimo figlio del sassareseSalvatore Muganu e della tempiese Giuseppina Ranò, poche ore dopo la nascita ho rischiato di morire. La levatrice con la certezza che sarei morto da un momento all’altro, col concorso del medico fece chiamare al capezzale di mia madre Monsignor Cimino, il quale venne avvisato subito che c’era la necessità di un “Battesimo in ponte” per salvare l’anima del nascituro e assicurargli l’ingresso in Paradiso.
Quel battesimo, però, si trasformò in un miracolo perché io sono, e voi ne siete testimoni, ancora vivo. Monsignor Cimino, tornando in parrocchia mi registrò come “battesimato in punto morte” tra i nati del22 luglio di quell’anno. Dalla chiesa venni ignorato per circa sette o otto anni, malgrado mio padre mi avesse denunciato all’anagrafe comunale, e per tutti quegli anni io fui tra gli abusivi del mondo cattolico terranovese. Quella dimenticanza venne a galla quando vennero appese in chiesa le pubblicazioni riguardanti il matrimonio di mia sorella Mariuccia con il siciliano Emanuele Modica. Qualcuno in parrocchia andò a controllare che le nascite della famiglia Muganu fossero tutte in regola e si accorse che Settimo Mugano (io sono uno dei tre figli di Salvatore Muganu registrati col cognome Mugano), era ancora vivo e che, quindi, il “Battesimo in ponte” non aveva più valore. Dovevo quindi essere battezzato “regolarmente” oppure mia sorella non avrebbe potuto sposarsi in chiesa.
Il problema fu subito risolto. Giovannina Pintus, moglie di Giuseppe Pintus titolare della prima concessionaria Fiat di Olbia, mi accompagnò in chiesa e mi fu madrina di battesimo alla bella età di sette anni. Un anno dopo sono addirittura diventato zio di Bartolomeo Modica, primo figlio di mia sorella Mariuccia. La cresima, invece, l’ho ricevuta in età normale accompagnatoalla chiesa di San Paolo, dal commercianteGiorgio Careddu che avevo scelto come padrino.
Tornando in argomento, devo citare il giudizio espressoda Don Deloguche ha ricordato che “Monsignor Francesco Cimino è stato un maestro di formazione cristiana sempre vicino al suo popolo, che usciva spesso per incontrare i suoi parrocchiani e che, nella sua diocesi, ha avuto diversi ruoli di responsabilità, prima come delegato vescovile, poi come vicario generale e amministratore apostolico, infine come candidato all’arcivescovado di Tempio Pausania” . Vescovo non lo divenne mai, si disse a Olbia, perché quella importante carica gli avrebbe imposto di lasciare la città e il suo gregge del quale era diventato un insostituibile e amatissimo Pastore.
Don Delogu lo ha anche definito “Il primo parroco moderno di Olbia che accompagnò gli uomini e le anime nel percorso che ha cambiato il volto di un piccolo centro nel cuore produttivo del nord est”.
Noi ragazzi di dieci-dodici anni non perdevamo occasione, incontrandolo lungo Corso Umberto, uscendo o rientrando in chiesa, per andare a salutarlo come ci avevano insegnato i suoi collaboratori con la frase “Sia lodato Gesù Cristo”. Lui rispondeva: “Sempre sia lodato” e ci compensava con una caramella.
Monsignor Francesco Cimino fu, negli anni della mia infanzia e della prima giovinezza, una delle figure dominanti di Olbia nel periodo in cui le autorità del paese erano il Parroco, il Maresciallo della Caserma dei Carabinieri, i medici Marco Agostino Amucano, Felice Pinna, la dottoressa Antonietta Tola Pinna e il dottor Bardanzellu.
Si deve a Monsignore la costruzione delle due cappelle laterali all’altare e, più tardi, la fondazione dell’Azione Cattolica, ospitata nel locale di una delle cappelle laterali. Questa sede, arricchita da un tavolo da ping-pong, diede a noi ragazzi la possibilità di trascurare i primitivi giochi sulle strade. Io ne fui così appassionatamente conquistato che, il ping-pong, l’ho continuato a giocare fino a pochi anni fa nel piccolo giardino della mia casa romana dove, almeno una volta alla settimana, organizzavo tornei tra gli amici.
Sono legati anche alla presenza di Monsignore i tre anni della Scuola Media fondata dalla signora Lillitta Carlini, dove egli insegnava religione un giorno alla settimana.
Di Monsignor Cimino ho molti ricordi personali alcuni dei quali divertenti altri, invece, non completamente felici.
Frequentatore domenicale della messadelle 8,30, sedevo abitualmente nella cappella che dava sul portone che si apriva sulla via dove Monsignore abitava con la sorella. Quella domenica, quando la messa arrivò al punto in cui il parroco impartiva la comunione, Monsignore si accorse, aprendo il tabernacolo, che non c’erano le ostie consacrate. Si voltò prima alla sua sinistra, poi a destra, mi vide e con la mano mi fece segno di salire sull’altare. Appena gli fui vicino mi disse a bassa voce: “Va a casa mia e fatti dare da mia madre le ostie per la comunione. Fa’ presto”.
Feci così presto chescendendo le scale, per evitare una donna che era inginocchiata sui primi scalini, feci un salto poggiando il gomito del braccio destro sul gancio di ferro del portone. Il braccio non scivolò, come avevo pensato, ma fece resistenza e mi procurò una dolorosa frattura. Qualcuno mi soccorse e mi accompagnò nello studio del dottor Felice Pinna in via Regina Elena il quale, dopo essersi fatto raccontare per due volte la mia disavventura, provvide alla necessaria ingessatura.
Quell’episodio mi rese famoso perché nessuno, nella storia di Olbia, si è mai fratturato il braccio in chiesa durante la messa domenicale.Le ostie da consacrare per impartire la festiva comunione ai suoi parrocchiani Monsignore le aspettò a lungo.
Monsignore fu un promotore appassionato della crescita della città, e sacerdote di grande carisma. A lui bisogna riconoscere il valido contributo sociale, oltre che religioso, offerto nei suoi molti anni di sacerdozio durante i quali si impegnò soprattutto a far crescere il numero dei parrocchiani con continue iniziative. In una di queste chieseottenne la collaborazione di alcune delle sue fedelissime parrocchiane delle quali aveva celebrato i loro matrimoni e aveva battezzato e portato alla cresima i loro figli.
Monsignor Cimino aveva notato che alle cerimonie religiose, specialmente a quelle della domenica, tra i molti suoi parrocchiani non erano quasi mai presenti i dipendenti della Compagnia Portuale forse perché il traffico portuale olbiese non si fermava mai e richiedeva la presenza degli addetti al carico e allo scarico delle merci sia nei giorni feriali che in quelli festivi. Ma quella gli parve una scusa da nonprendere in considerazione perché egli sapeva che il lavoro al porto era svolto da squadre di dieci-dodici portuali per volta, quindi c’era chi tra loro era libero o nella mattina o nel pomeriggio e poteva, volendo, frequentare la chiesa almeno di domenica o nei giorni “Comandati”. Per risolvere il problema di quelle assenze, Monsignor Cimino chiese alle mogli dei portuali di fare opera di convinzione nei confronti dei mariti perché non trascurassero i loro doveri di cristiani.
La sua campagna promozionale ebbe quasi subito successo. La domenica e nelle feste religiose, si cominciò subito a notare la presenza di portuali i quali, molto, probabilmente, come Monsignore aveva chiesto, erano staticonvinti dalle loro mogli a frequentare la chiesa.
Qualche maligno andò dicendo che il successo ottenuto fosse dipeso da una specie di muliebre ricatto imposto ai loro uomini, altri parlarono di rifiuti delle donne di cucinare i luculliani pranzi festivi, se i loro mariti non le avessero accompagnate in chiesa almeno di domenica.
Qualche portuale confidò agli amici, ma non voglio insistere sull’argomento, che il ricatto fu molto più pesante e decisivo... Sia come sia, la campagna di promozione tra i dipendenti della Compagnia Portuale, ebbe successo e molti di loro, addirittura, parteciparono anche alle rituali processioni indette annualmente dalla chiesa.
Ad una di queste processioni, malgrado la mia età, credo a 13 o 14 anni, partecipai anch’io con molti compagni dell’Associazione Cattolica.
Quando fummo avvertiti che Monsignor Cimino aveva programmato una processione fino alla chiesetta di Santa Mariedda, a pochi chilometri da Olbia, io ne fui particolarmente felice perché nelle sagre paesane sia di Santa Mariedda che di Cabu Abbas, c’era sempre la presenza dei venditori di torrone di dolci sardi e le giornate finivano con spettacoli musicali e balli in costume. Chiesi e ottenni da mia madre di partecipare a quella processione aspettandomi di vivere una giornata straordinaria.
La mia speranza svanì appena arrivato alla chiesa di San Paolo. Appresi che a Santa Mariedda non ci sarebbe stata la mia immaginata sagra paesana con venditori di leccornie, musica e balli, ma che la processione era stata organizzata per scongiurare, con le preghiere dei partecipanti e la messa nella chiesetta, il protrarsi della terribile siccità che la città e le sue campagne stavano vivendo da circa sette mesi a tal punto che c’era il pericolo che venisse razionata l’acqua potabile.
Insomma, a pensarci adesso, saremmo andati a Santa Mariedda peruna edizione sarda della danza della pioggia degli indiani d’America. Ormai ero in gioco e a quella lunga passeggiata di preghiere alla chiesetta nonrinunciai. Io non saprò mai per quale misterioso intuito Monsignor Cimino avesse scelto proprio quella giornata. So, invece, di aver vissuto, malgrado tutto, una vera e indimenticabile esperienza arrivando nella zona di Monte Pinu dove venivano allevate greggi di pecore e di vacche e si produceva negli stazzi lì attorno un pregevole formaggio del quale io sono ancora molto ghiotto.
[caption id="attachment_101358" align="alignnone" width="931"] Sopra l'altare si nota la piccola statua di marmo della Madonna venerata a Santa Mariedda[/caption]Di quella specialissima giornata Patrizia Anziani ha trovato a Olbia la testimonianza di Maria Sanciu, sorella del noto vigile urbano Totoi. Maria, devotissima di Santa Mariedda e della quale porta il nome, le ha raccontato che durante la partecipata cerimonia religiosa, suo padre ebbe il compito di portare la statua di marmo sulla riva di un ruscello della zona per immergernei piedi nell’acqua. Fu anche quello un rito propiziatorio che contribuìal successo dell’iniziativa di Monsignore che, certamente, non avrebbe mai immaginato che la"grazia" richiesta sarebbe era arrivata così presto.
Sciolta la processione prendemmo la strada del ritorno ma…a due o tre chilometri da Olbia, preannunciato da una sequela impressionante di tuoni e fulmini, ci colse un tale temporale che ci ridusse tutti bagnati come pulcini.
Naturalmente a nessuno dei partecipanti era venuto in mente di portarsi dietro un ombrello nella giornata dedicata a convincere Giove Pluvio a sciogliere le sue cataratte.
Credo che l’unico ad essere felice del successo delle nostre preghiere fosse proprio Monsignore al quale, nelle giornate di crisi locali e famigliari, gli olbiesi si rivolgevano per risolvere i loro problemi.
Chiudendo questi ricordi e ringraziando ancora Monsignor Francesco Cimino per i suoi cinquant'anni spesi per il bene della mia città, sono sicuro che non solo quella di Olbia, ma tutte le parrocchie dei comuni italiani avrebbero bisogno di un uomo, di un prete e di un sacerdote come lui.
Monsignor Cimino, sia lodato Gesù Cristo.
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