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Pubblicato il 10 May 2024 alle 19:15
Olbia. Tremila anni, dal Neolitico al Medioevo raccontati in tre giorni. L’interessante evento culturale "Dalla Dea Madre a San Simplicio", organizzato dal Lions Club Olbia con il Patrocinio del Comune di Olbia, si è concluso domenica 5 maggio.
Le conferenze proposte dai noti archeologi Paola Mancini (Preistoria), Rubens D'Oriano (Età preromana e romana) e Marco Agostino Amucano (Medioevo), i quali da decenni si occupano a vario titolo dello studio delle diverse epoche, hanno tutte registrato la partecipazione di un numeroso pubblico che si è lasciato guidare con grande interesse in un viaggio attraverso il tempo, alla scoperta dell'affascinante storia di Olbia.
Aiutati dalla grande esperienza comunicativa i tre archeologi hanno sapientemente “affrescato” l’immagine di una città con il suo golfo, il suo territorio, il suo paesaggio, sempre in osmotico interscambio di flussi di popoli, realtà culturali, saperi, testimonianze e lasciti che oggi confluiscono in un prezioso patrimonio archeologico da riscoprire e valorizzare.
Il metodo narrativo utilizzato è sicuramente quello dell’archeologia pubblica - oggi anche affermata disciplina accademica - che intende investigare i rapporti e le interazioni tra l'archeologia e la contemporaneità stimolando, in questo specifico caso, una riflessione sulla continuità storica e multiculturale di Olbia.
Nel corso della prima giornata ad aprire i lavori Paola Mancini, archeologa specializzata che svolge la libera professione fin dal 2000. Tema dell’incontro "Il territorio di Olbia dal Neolitico all'Età Nuragica". La Mancini, nel rispetto dei tempi e del programma della giornata, ha illustrato la storia delle genti che già da allora popolavano il territorio olbiese vivendo di agricoltura, pastorizia e di scambi, offrendo un quadro sintetico ed esaustivo delle origini del popolamento a partire dai primi manufatti rinvenuti a Porto Rotondo, Campu Majore e Santa Mariedda risalenti al Neolitico Medio (4000- 3500 a.C.). Interessante la carrellata di immagini di scavi archeologici effettuati nel nostro territorio che per la preistoria e la protostoria hanno offerto più testimonianze e ritrovamenti rispetto al resto dell’intera Gallura: una tra tutte la famosa statuetta denominata Dea Madre che ha dato il titolo, assieme al patrono San Simplicio al ciclo dei tre incontri.
Conosciuta anche come dea della fertilità, la statuetta venne rinvenuta nei dintorni dell'abitato olbiese in un tafone, ovvero una cavità di roccia evidentemente frequentata dall'uomo di quell'epoca. Interessanti anche le testimonianze da Porto Rotondo e Rudalza per quanto riguarda il Neolitico Recente (3500-2700 a.C.); la Grotta del Papa dell’isola di Tavolara per l'Età del Rame ( 2700-1800 a.C.) fino ad arrivare all’Età Nuragica con gli esempi delle tombe sepolcrali, le fonti, i pozzi sacri, le fortificazioni ed i villaggi nuragici.
Nella sua relazione la Mancini ha invitato i partecipanti a cogliere una prospettiva di osservazione inedita di Olbia: un viaggio a ritroso nel tempo che per essere meglio compreso deve tenere conto non solo del monumento o del reperto rinvenuto in un determinato luogo, ma anche del paesaggio nel quale gli uomini del passato si muovevano, quello stesso paesaggio che oggi, seppur trasformato, è quello in cui noi ci muoviamo.
Il paesaggio definito dunque come stratificazione, come tutto: “Siamo anche noi il paesaggio – spiega l’archeologa - perché facciamo parte di questo ambiente, di questo sistema. Quindi parlare di paesaggio significa parlare di tutto, anche quando si parla di reperti o di nuraghi, di ottomila, diecimila nuraghi. – continua la Mancini - Potrebbe sembrare per i non addetti ai lavori che uno valga l’altro, o che uno sia più importante dell’altro. Che quello meno conservato abbia meno valore, ma ognuno nel suo contesto paesaggistico assume un valore unico e particolare perché racconta una sua storia non solo dal punto di vista scientifico - per noi addetti ai lavori - ma anche la storia di quel luogo, di quell’ambiente, di ciò che è successo dopo e di chi l’ha abitato, o lo ha distrutto in epoche successive”.
A questo proposito la Mancini, spiegando che i ritrovamenti o i risultati di ricerca sono quasi sempre anche frutto di collaborazioni, di esperienze definite dal lei “stratificazioni”, ha voluto accanto a sé l’olbiese Simplicio Usai precisando: “In questo nostro cammino di archeologi da soli non si va da nessuna parte perché è grazie alla collaborazione con le persone, con le professionalità e con le passioni di altri che si ottengono i risultati”.
Simplicio Usai, operatore amministrativo presso l'Ufficio di Toponomastica del Comune di Olbia ed esperto in questo settore di studi, nel corso dei lavori ha raccontato la vera storia del ritrovamento della statuina, anche conosciuta come dea della fertilità, annunciando alcuni nuovi studi che confluiranno in un suo prossimo volume sempre sui toponimi locali. “Abbiamo la certezza che la statuina fu trovata in regione Ferrulalzu, adiacente a Santa Mariedda e Murata, toponimi storici del nostro territorio. Fu trovata in un tafone orizzontale classico - ha spiegato Usai che è riuscito ad intervistare il suo scopritore, uno scalpellino oggi novantacinquenne - e quindi non per effetto di uno scoppio di mina come da sempre ci hanno raccontato”.
La Dea di Olbia (4000 -3500 a.C.)
Il secondo giorno il dottor Rubens D’Oriano, già funzionario di Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Sassari e Nuoro, alla luce della mole di dati che testimoniano i 1250 anni di storia della città, proposti all’attenzione del pubblico con il tema "Olbia fenicia, greca, punica e romana", riallacciandosi all’importanza del concetto di Paesaggio si è soffermato maggiormente sulle epoche: “fenicia e greca che, sebbene più antiche come fasi storiche, sono in realtà più recenti, come ritrovamenti e studi per la loro più corretta comprensione, e quindi meno radicate nella memoria collettiva”.
Protagonista è sempre la città che sorge su uno dei porti naturali più protetti della Sardegna settentrionale e orientale circondato da bassi fondali adatti all’allevamento del pesce e alla raccolta del sale e che si apre sulle principali rotte del Mar Tirreno. Una posizione strategica che ha reso Olbia un punto di riferimento per il commercio e la navigazione fin dall'antichità, contribuendo significativamente allo sviluppo culturale e storico della Gallura e della Sardegna.
Proprio durante il declino della Civiltà Nuragica, quando Fenici e Greci stavano fondando i loro primi centri abitati nel Mediterraneo Occidentale, nuovi visitatori iniziarono ad affacciarsi sul Golfo di Olbia il cui nome in greco antico significa “felice”.
L'archeologo ha presentato tutte le quattro fasi della storia della città con una ricca documentazione fotografica e cartografica offrendo al pubblico una più puntuale ricostruzione dello spostamento delle popolazioni che si affacciavano nel Mediterraneo e dello sviluppo della città nelle varie fasi storiche.
Approfondendo l’aspetto del "paesaggio umano", e quindi degli esseri umani che lo modellano nelle varie epoche, che lo vivono, che lo percepiscono ha proposto diversi punti di riflessione: “Paesaggio umano, cioè l’aspetto dei contatti culturali, l’accoglienza degli stranieri – spiega il dottor D’Oriano riprendendo il discorso della collega - la multiculturalità in senso sia diacronico che sincronico, cioè sia le diverse fasi culturali che si sono avvicendate nel tempo e anche la diversificazione etnico-culturale all’interno delle diverse fasi e quindi sincretismo e tolleranza religiosa”.
Il professor Marco Agostino Amucano, dottore di ricerca in Archeologia medievale, ha concluso la tre giorni con una lunga relazione dal titolo “Olbia e dintorni nell’Età di Mezzo”. Lo studioso ha esordito affermando che il Medioevo è in fondo un’astrazione ideologica dal tratto dispregiativo inventata dagli umanisti del Rinascimento. Come si può ritenere “intermedia” e di “transizione” un’epoca di ben dieci secoli? Il “Medioevo”, caratterizzato in buona sostanza dall’affermazione della civiltà cristiana, rappresenta semmai molte epoche in contemporanea, plurime culture, infinite dimensioni umane e geopolitiche diverse, che non possono essere uniformate in un blocco unico, come per esempio è possibile fare per l’Impero romano, che aveva una sua unità ideologica e politica fortemente accentratrice. "Se consideriamo come inizio del medioevo la caduta dell’impero romano d’Occidente, in quale epoca dovremmo di contro inserire l’altra metà dell’impero romano, quello d’Oriente, che bene o male rimarrà in piedi fino al 1453 (caduta di Costantinopoli)?" ha spiegato Amucano. "Olbia anticipa il “medioevo” subendo un duro colpo intorno al 450 d. C.: un attacco vandalo dal mare che distrugge le navi ormeggiate nel suo porto, trovate ancora allineate in rada durante gli scavi per la costruzione del tunnel sul lungomare (1999-2001). Anche l’abitato non fu risparmiato, come dimostra l’archeologia, poiché il conquistatore vandalo seguiva la prassi di distruggere sistematicamente le infrastrutture vitali".
Circa settant’anni dopo, nel 534, l’isola e parte dell’Africa e della Spagna vennero riconquistate e riorganizzate per iniziativa dell’imperatore romano d’Oriente, Giustiniano.
Nel suo intervento il professore ha dedicato particolare attenzione all’epoca “altomedievale”, quella cioè precedente all’anno Mille, soffermandosi prima sull’imponente castrum giustinianeo di Monte a Telti (o Sa Paulazza), un unicum nel Mediterraneo occidentale per stato di conservazione, e sull’ipotizzato castrum urbano di VI secolo, quindi della misteriosa Phausiana, sede vescovile ripristinata alla fine del VI secolo da papa Gregorio Magno.
Phausiana corrisponde all’antica Olbia? La maggior parte degli studiosi la pensano così, sebbene manchi ancora la prova provata. Se così fosse dove andrebbe collocata? Ecco quindi una serie di ipotesi, tutte affascinanti e tutte nate su argomenti non trascurabili. C’è chi la vede in località Pasana, a pochi chilometri da Olbia, c’è chi nello stesso sito dell’antica città romana e c’è chi, più di recente, ha proposto di collocarla nel citato castrum protobizantino di Monte a Telti (F. Carrera).
L’età giudicale, posteriore all’anno Mille, è stata riassunta in tre monumenti: la chiesa romanica di San Simplicio (molto interessante un disegno-schizzo del 1948, presentato in anteprima, in cui viene riportato il rilievo di un corridoio sotterraneo a tuttoggi non più accessibile); il castello di Pedres (XIII secolo), e la torre de S’Istrana della stessa epoca, oggetto della visita pomeridiana in località Santu Nicola- Tanta de S’Istrana.
Nel lungo excursus Amucano ha ricordato: “Attenzione alle imposizioni ideologiche e terminologiche della storia. Applicare categorie mentali o ideologiche, ancor peggio della nostra epoca al passato storico, sono una grandissima tentazione che gli antichi non avevano".
Durante le tre giornate, le visite guidate ai siti archeologici del Pozzo Sacro di Sa Testa, Nuraghe Paulelada, la Torre Punica di Porto Rotondo e la torre di S'Istrana hanno rappresentato un'esperienza unica per i partecipanti che hanno potuto apprezzare la storia e la cultura di Olbia in un modo nuovo e più profondo. Gli archeologi Paola Mancini, Rubens D'Oriano e Marco Agostino Amucano hanno guidato il pubblico attraverso le diverse epoche storiche di Olbia, dalla preistoria fino al medioevo, con competenza e passione. Il presidente del Lions Club Olbia, Tommaso Pirina, ringraziando tutti ha auspicato che l'evento diventi istituzionale con una nuova edizione della tre giorni dedicata all'Archeologia. In conclusione "Dalla Dea Madre a San Simplicio" non è stato solo un evento culturale, ma un'occasione di crescita collettiva, un momento di condivisione e di riscoperta delle proprie radici che ha rafforzato il senso di appartenenza alla comunità olbiese che ha dimostrato come la valorizzazione del patrimonio storico possa essere un fattore chiave per lo sviluppo culturale e sociale di una comunità.
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