Tuesday, 08 April 2025
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Pubblicato il 07 April 2025 alle 20:00
Olbia. La lettera di don Gianni Satta, parroco di San Paolo, annuncia l'undicesima edizione di S'Iscravamentu, il rito della Deposizione di Cristo celebrato in lingua sarda dalla Confraternita di Santa Croce. Quest'anno la toccante e suggestiva cerimonia vedrà per la prima volta una donna: sarà Maria Antonietta Mongiu, archeologa, ex assessora della Giunta Soru e già presidentessa regionale del Fai, ad offrire il commento in lingua madre, portando una nuova prospettiva a questa potente espressione di pietà popolare: -----
"Questo è l’undicesimo anno nel quale si svolge in limba s’Iscravamentu; nel linguaggio tecnico, si tratta di una espressione di pietà popolare, una paraliturgia. Nella Primaziale di San Paolo, la Confraternita di Santa Croce celebra con la comunità parrocchiale e svolge il servizio ecclesiale, liturgico e paraliturgico, cuore e centro della vita di fede cristiana: il triduo del mistero pasquale, cioè la Passione, la Morte e la Risurrezione del Signore, Gesù Cristo.
La semplice e potente, ad un tempo, espressione del popolo si esprime nella liturgia ufficiale della Chiesa e, anche, con azioni, movimenti, linguaggi propri e specifici del popolo, della cultura popolare. La semplicità è accompagnata da movimenti consueti della vita di un popolo e dalle sue espressioni linguistiche, verbali.
Infatti, dal 2015, nella Primaziale di San Paolo, il commento della Deposizione del Signore, lo schiodamento, in sardo s’iscravamentu, secondo un canovaccio collaudato dei Confratelli, viene riproposto in lingua sarda e per due volte nella parlata gallurese con don Raimondo Satta, parroco di Porto Cervo e con don Paolo Pala, parroco di Palau.
La proposta della lingua sarda logudorese è l’attualizzazione della lingua materna, il primo linguaggio che parte dal cuore e arriva alla testa e ritorna arricchito alla vita, con una esperienza nuova, vitale. Carico di meraviglia, di stupore e di parola che parla immediatamente alla vita. Il commento in sardo della teodrammatica completa l’azione de s’Iscravamentu.
Al commentatore, infatti, viene richiesto di esprimersi nella lingua materna per dire il mistero. La figura del Crocifisso è la più adeguate per manifestare ad ogni uomo l’anelito alla sua libertà, alla sua verità, alla sua giustizia e alla pace. Il crocifisso parla il linguaggio muto dell’assurdo, del non senso, della follia lucida dei poteri terreni. Il crocifisso, uno sulle spalle del quale si scarica tutto il male del mondo. È naturale per chi soffre, patisce e subisce lo scandalo del dolore identificarsi come un povero Cristo.
Questo dramma è facile da capire perché è connaturato con la condizione umana. Chi ha sperimentato qualche cruccio capisce immediatamente di chi si tratta.
La popolarità de s’Iscravamentu in Sardegna è legata storicamente ad una condizione di minorità, di povertà, di dipendenza, di malattia, di dolore. Ma lo scandalo della Croce insieme al mistero di oscurità, per ogni uomo, per il credente quelle ferite diventano le feritoie attraverso cui filtra la luce di un nuovo giorno, della nascita del nuovo Adamo, è la Pasqua del Signore, la Kiriaké, il giorno del Signore che il cristiano attualizza con il dies Domini, la domenica della settimana.
Il giudicato, il condannato, l’umiliato, il crocifisso è il Risorto, il Vivente, da non cercare tra i morti. È l’aspetto più difficile, Il più bello; è la fede nel Cristo Risorto. Siamo attrezzati storicamente, culturalmente, verbalmente; abbiamo un vocabolario ricco per esprimere il mistero dell’uomo , della sua finitudine e per questo, s’Iscravamentu fa vibrare tutte le corde del cuore e della mente. Ma s’Iscravamentu contiene la fede di Xto. Senza la fede di Xto non si arriva alla Gloria. E la gloria di Dio è l’uomo vivente- scrive sant’ Ireneo. A questo proposito il nostro vocabolario è scarso.
Ho sempre chiesto al commentatore di non rimanere soffocati nel grido disperato che Dio è morto! È mortu su Segnore! Ma di aprire il silenzio del venerdì santo alla Speranza. Per tutti è stata, ed è una grande fatica quella di andare oltre la morte, oltre ogni morte. Il nostro Iscravamentu un miracolo l’ha già fatto. Sono già stati due i commentatori laici: Bachisio Bandinu e Marcello Fois. Hanno preso la parola, avendo salito gli scalini ripidi del pulpito e con trepidazione hanno fatto rimbombare quella parola e sapienza antica della croce. Eppure nuova, che schioda da schemi fissi del pensare e dell’agire. La potenza e l’essenzialità di un rito che parla a tutti e tutti ispira.
Sì proprio tutti, poiché quest’anno inopinatamente ho affidato il commento ad una donna. Un altro taglio, un’altra sensibilità, un’altra prospettiva: al femminile. Quella di Maria Antonietta Mongiu, pattadese. Ci aiuterà a leggere la storia alla luce della: Stabat mater dolorosa/iusta crucem lacrimosa/ dum pendebat Filius. Una vera resistente che come tutte le gratuità è segno di una forza assoluta che supera ogni sofferenza del figlio…Eia mater, fons amoris, l’amore di una madre che il figlio riconosce…Anche questo è un dono, un miracolo se s’Iscravamentu dare visibilità, lingua, carne all’amore".
Don Gianni Satta, parroco di san Paolo
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